Era stato accusato del reato di peculato d’uso dell’autovettura di servizio e pertanto condannato con pena sospesa a dieci mesi di reclusione

L’uomo, Maresciallo Capo in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di un piccolo comune della provincia di Agrigento, era stato accusato (e poi condannato) per aver utilizzato l’autovettura di cui aveva la disponibilità per ragioni del proprio ufficio, recandosi, fuori dal territorio comunale, per motivi personali. Il mezzo era stato rinvenuto, di li a poco, parcheggiato all’esterno di un condominio privato. Da subito era stata configurata l’ipotesi di delitto di peculato d’uso.

Non soltanto. La Procura, aperto il fascicolo, gli aveva altresì ascritto il reato di falso. Quando, infatti, al maresciallo era stato chiesto di fornire giustificazioni dell’utilizzo del mezzo di servizio egli formava (nell’esercizio delle proprie funzioni) due atti falsi: un invito per la presentazione a rendere interrogatorio di persona sottoposta ad indagini destinato ad un legale, difensore di fiducia dell’indagato, asseritamente su delega dell’autorità giudiziaria (con indicazione del relativo numero del procedimento), e della conseguente relata di notifica di detto atto provvisto di fede privilegiata, a cui era stata apposta la falsa attestazione di ricezione del destinatario.

Il ricorso per Cassazione e la decisione

I giudici Ermellini, ricordano sin da subito che le deduzioni difensive (come quelle prospettate dalla difesa del ricorrente) volte alla mera sollecitazione di una diversa valutazione rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, è operazione del tutto preclusa in sede di legittimità.

Peraltro, a detta del Supremo Collegio, la sentenza impugnata era immune da vizi di motivazione.

La Corte territoriale aveva, infatti, ben posto in evidenza che l’utilizzo dell’autovettura di servizio non era sorretto da alcuna finalità istituzionale, circostanza peraltro che nell’immediatezza dei fatti, sottoposto ad interrogatorio dal proprio superiore, era stata spontaneamente riconosciuta anche dal ricorrente.

Quanto alla ritenuta assenza di offensività della condotta eccepita tra i motivi di ricorso, deve rilevarsi – affermano i giudici della Corte – che vi è giurisprudenza pacifica per cui integra il delitto di peculato d’uso la condotta dell’appartenente ad una forza di polizia che utilizzi l’auto di servizio per esigenze personali (ipotesi di utilizzo dell’autovettura di servizio per recarsi da una prostituta, Sez. 6, n. 5206 del 15/12/2017).

Si tratta cioè di una condotta che si sostanzia nella distrazione, sebbene provvisoria, del mezzo dalla finalità pubblica, tenuto conto che la vettura utilizzata per fini personali dal ricorrente era comunque attribuito all’Arma dei Carabinieri, al cui doveroso utilizzo istituzionale era stato sottratto per un significativo lasso di tempo.

Anche sul reato di falso, nulla quaestio.

Era evidente che proprio il ricorrente aveva predisposto i due atti falsificandoli nel loro contenuto, atti all’evidenza di natura pubblica tanto da realizzare, in ordine alla falsificazione della relata di notifica al difensore di un indagato, un atto con fede privilegiata in quanto certamente facente prova fini a querela di falso.

Niente da fare dunque, per il Maresciallo dei Carabinieri. La Cassazione dopo aver dichiarato inammissibile il ricorso, ha confermato la sua condanna, oltre al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

 

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