La riduzione della capacità lavorativa del pedone investito sulle strisce non consegue in via automatica alle lesioni subite

Il ricorrente aveva agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni patiti dopo essere stato investito sulle strisce dall’auto condotta dal convenuto. A seguito dell’incidente il pedone aveva riportato diverse lesioni, quali “frattura scomposta e pluriframmentaria diafisi tibiale, piatto tibiale e perone destro, lassità del legamento crociato anteriore ginocchio destro, disturbo neuropsichico da stress post-traumatico”, ed una diminuzione della capacità di svolgere la propria attività lavorativa.

In materia di responsabilità dei conducenti dei veicoli su strada nei confronti dei pedoni, la disciplina di riferimento è rinvenibile negli art. 141 e 191 del Codice della Strada.

La prima norma prevede il generale obbligo per gli automobilisti di regolare la velocità e di mantenere il controllo della vettura innanzi ad un ostacolo prevedibile, al fine di evitare ogni pericolo per la sicurezza degli altri utenti della strada. A tale scopo i conducenti devono ridurre la velocità ed all’occorrenza fermarsi in prossimità di attraversamenti pedonali ovvero allorquando vi siano pedoni lungo il loro percorso.

L’art. 191 C.d.s., rubricato “Comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni”, prevede poi che “quando il traffico non è regolato da agenti o da semafori, i conducenti devono fermarsi quando i pedoni transitano sugli attraversamenti pedonali. Devono altresì dare la precedenza rallentando e all’occorrenza fermandosi, ai pedoni che si accingono ad attraversare sui medesimi attraversamenti pedonali.”

Quanto invece alla responsabilità dell’automobilista, ai sensi del comma 1° dell’art. 2054 c.c., il pedone ha diritto al risarcimento del danno subito, se il conducente del veicolo che lo ha causato non dimostra di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento. Tale presunzione di colpa, secondo la Suprema Corte di Cassazione, può essere superata soltanto nel caso in cui risulti provato “che non vi era, da parte dell’automobilista, alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione questa ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti.”

Pertanto, la prova liberatoria che il conducente deve fornire, al fine di non essere dichiarato esclusivamente responsabile del sinistro, consiste nella dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, tenendo un comportamento conforme alle norme del Codice della Strada ed alla normale diligenza.

Nel caso in esame, a fronte della prova testimoniale portata dall’attore e della documentazione dallo stesso prodotta (verbale di pronto soccorso, cartella clinica ospedaliera, relazione medico legale) la convenuta compagnia assicuratrice non aveva fornito alcuna prova liberatoria, limitandosi a contestare l’attendibilità del teste escusso nel corso dell’istruttoria e l’entità delle lesioni subite dall’attore.

Invero, il teste indicato dalla parte attrice aveva confermato la dinamica del sinistro; quanto, invece, alla tipologia delle lesioni riportate dal danneggiato, sia i referti dell’Ospedale che la relazione peritale redatta dal Consulente Tecnico nominato dal Giudice, ne avevano attestato la perfetta compatibilità con la ricostruzione dell’incidente.

In particolare, il CTU aveva attribuito i danni fisici subiti dall’attore ad un trauma da investimento stradale, che tenuto conto di tutti gli elementi acquisiti, doveva ritenersi avvenuto secondo le modalità narrate da quest’ultimo.

Tanto premesso la responsabilità del sinistro è stata attribuita esclusivamente al convenuto e alla compagnia assicurativa, condannati in solido a liquidare la somma complessiva di 11.494,18 euro oltre interessi, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dall’attore.

Il Tribunale di Brindisi (sentenza n. 598/2020) ha, invece, rigettato, la richiesta di personalizzazione del danno e la richiesta di risarcimento per riduzione della capacità lavorativa, in difetto di prove in grado di dimostrare la effettiva sussistenza degli stessi ovvero il loro ammontare.

In particolare, quanto a quest’ultima voce, il giudice pugliese ha ricordato che “la riduzione della capacità lavorativa del danneggiato non consegue in via automatica alle lesioni subite ma, nonostante in ordine all’an il danneggiato possa avvalersi anche di presunzioni semplici, è suo onere dimostrare la riduzione dei redditi dopo il sinistro (Cass. Civ. n. 21988/2019), non potendo il Giudice, in difetto di tale prova, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito” (Cass. civ. sez. III, n.15737/2018).

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