Perché la documentazione clinica è così importante?

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Nel panorama della responsabilità medico-sanitaria, non v’è dubbio che gli argomenti che trovano più rilievo giudiziario siano, al di là degli atti medici in sé considerati, il consenso informato, le linee guida e i protocolli e la correttezza diagnostica.

Un enorme, quanto sottovalutato, rilievo ha invece la documentazione clinica!

Con questo termine, si indicano tutti quei documenti che descrivono il percorso di un paziente all’interno di una struttura sanitaria, dal suo ingresso, con il ricovero d’urgenza o programmato, alla sua dimissione.

L’importanza di tale documentazione è legata direttamente al valore che l’ordinamento giuridico attribuisce alla stessa. Infatti, la documentazione clinica ha il valore di atto pubblico. Tale valore le è attribuito poiché la stessa promana da soggetti che dalla legge sono qualificati come pubblici ufficiali, se medici dipendenti di strutture pubbliche, o incaricati di pubblico servizio, se medici privati.

Dinnanzi ad un atto pubblico o avente pubblica fede, come è noto, l’unico mezzo di intervento per chi volesse smentirne il contenuto, sarebbe la querela di falso, ovvero, quell’atto tramite il quale, fornendo prove a sostegno della propria tesi, si informa il giudice e, di conseguenza, un pubblico ministero, che l’atto impugnato contiene delle informazioni non veritiere o contrarie al reale andamento dei fatti che il medesimo atto descrive.

Ma, approfondendo meglio l’analisi, si comprende che questo enorme punto di forza che l’ordinamento attribuisce alla documentazione clinica, rappresenta anche il suo maggior punto di debolezza.

Calando i concetti appena descritti in un ipotetico processo. Se da un lato, la struttura sanitaria e i medici potranno sostenere per veri i fatti descritti nella documentazione clinica con conseguenze difficoltà del paziente a controbattere se non attraverso prova scientifica della erroneità dei comportamenti descritti, dall’altro lo stesso paziente potrà sostenere vittoriosamente che qualsivoglia fatto non descritto nella documentazione clinica, semplicemente, non è avvenuto.

Le conseguenze di tale ragionamento sono molteplici e tutte parimenti gravi. Poniamo, allora, il caso che il paziente lamenti di non aver ricevuto adeguata assistenza o di non aver ricevuto le corrette terapie. Poniamo anche che, nella realtà, magari, medici e infermieri hanno realmente fatto tutto quello che era in loro potere fare agendo, quindi, in maniera corretta. Poniamo, da ultimo, che per stanchezza o semplice non curanza gli stessi medici o infermieri non siano precisi nell’annotare ogni evento, ogni somministrazione farmacologica, ogni controllo eseguito nella cartella del paziente.

Ebbene, proprio la fede pubblica della documentazione clinica creerà infiniti problemi ai medici nel dimostrare di aver fatto ciò che era loro richiesto e consentirà al paziente di sostenere, molto spesso vittoriosamente, il contrario.

D’altronde, secondo la Suprema Corte, la incompletezza della documentazione clinica, non potendosi ripercuotere in maniera negativa sui pazienti, giustifica, caso non vi sia assoluta e certa prova del contrario, di ritenere per vero quanto sostenuto dal paziente, anche con ricorso a presunzioni di prova.

Concludendo, la corretta tenuta della documentazione clinica, oltre ad essere un dovere, è anche una salvaguardia importante dinnanzi ad accuse di negligenza, imperizia ed imprudenza, stupisce come, nonostante la produzione giurisprudenziale sul tema, ancora oggi siano frequenti i rilievi mossi dai giudici circa la tenuta delle cartelle cliniche, e ciò dimostra come, forse, coloro ai quali è demandata la compilazione di tali importanti documenti, ne misconoscano la reale valenza giuridica e, soprattutto, il reale valore difensivo.

Avv. Gianluca Mari

 

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