Perforazione intestinale e atteggiamento attendista conducono alla condanna del Chirurgo per lesioni colpose gravi, confermata anche dalla Suprema Corte (Cassazione penale sez. IV, 15/12/2021, ud. 15/12/2021, dep. 19/01/2022, n.2170).

Perforazione intestinale ascritta al Chirurgo: La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale riteneva il Chirurgo responsabile del reato di lesioni colpose gravi ai danni del paziente condannandolo, in solido con il responsabile civile (Casa di Cura XXX), al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, con provvisionale e spese.

La perforazione intestinale induceva il paziente a esporre querela per lesioni colpose gravi. L’imputato avrebbe cagionato la perforazione intestinale, in particolare del tratto distale del colon e conseguente stato settico, con una incapacità di attendere alle occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni, omettendo imprudentemente di valutare l’anamnesi patologica remota del soggetto che sottoponeva a intervento chirurgico di prolassectomia, invece di optare per la soluzione alternativa con differente tecnica provocando, nel corso dell’intervento, un’ansa che finiva con il necrotizzare il tessuto; omettendo negligentemente di indagare, mediante revisione per via endo-anale della linea di sutura, le complicanze di tipo emorragico dell’intervento; sottovalutando le condizioni ingravescenti del soggetto nel post-operatorio e così omettendo di esplorare le suture chirurgiche al fine di diagnosticare la perforazione dell’intestino; nel corso del secondo intervento di colostomia differita, omettendo di valutare, per imperizia e negligenza, la lunghezza del meso-sigma che, stirato in modo incongruo, andava in parziale necrosi, determinando la perforazione della parete del sigma e un conglobato di aderenze, con conseguente formazione di volvolo ideale; continuando a sottovalutare le condizioni del paziente, alle quali si aggiungeva nei giorni successivi un serio problema di tipo respiratorio e imprudentemente omettendo di eseguire una colonscopia, effettuata solo dopo l’intervento di uno specialista esterno, mentre il paziente era ancora ricoverato, che avrebbe consentito di rilevare lo stato settico in atto e l’ischemia del colon in corrispondenza della stomia eseguita in precedenza.

Nell’occorso, il paziente sarebbe stato, poi, sottoposto presso altra struttura ospedaliera, a un terzo intervento eseguito da diverso specialista in laparotomia con rimozione della colostomia, mediante resezione del colon di sinistra e deviazione del piccolo intestino.

Il primo profilo di colpa (intervento chirurgico eseguito con la tecnica operatoria della prolassectomia) è venuto meno, avendo i giudici di merito ritenuto che la scelta di eseguire quel tipo di intervento era stata formulata in maniera corretta, secondo quanto spiegato dai Consulenti.

L’imputato ha proposto ricorso deducendo la contraddittorietà della motivazione e la sua distonia con le risultanze della CTU eseguita su incarico del Tribunale. In particolare, la difesa rileva che le complicazioni del primo intervento, pur prevedibili, non sarebbero sempre evitabili, anche in caso di corretta esecuzione tecnica dell’intervento, come deve ritenersi in base al verbale operatorio e neppure contestato dai CTU del pubblico ministero e della parte civile. Ne’ è stato affermato dai periti che un intervento più tempestivo sarebbe stato efficace, avendo costoro concluso – da un punto di vista controfattuale – che non vi erano elementi per sostenere che un diverso comportamento sarebbe servito a evitare le conseguenze prodottesi e l’evoluzione riscontrata.

Sotto altro profilo, il Chirurgo, con la sua scelta attendista non avrebbe violato alcuna linea guida o procedura codificata, rilevandosi che nella perizia si era precisato non essere stata rinvenuta prova (dal verbale operatorio e dal referto dell’esame istologico) che la perforazione intestinale del tratto distale del colon fosse stata conseguenza dell’intervento eseguito, potendo prospettarsi anche un distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete in fossa iliaca sinistra, con ciò avendo gli stessi periti negato, secondo la prospettazione difensiva, l’attribuzione materiale dell’evento alla condotta dell’imputato.

La Suprema Corte rigetta il ricorso.

Una volta venuto meno l’addebito inerente alla tipologia del primo intervento, quanto alla ricostruzione dei fatti, viene precisato che la condotta ascritta al Chirurgo ha riguardato la fase post operatoria relativa al primo intervento, nonché la esecuzione del secondo, anche in relazione alla perforazione intestinale del colon riscontrata in sede di colonscopia.

In base agli esiti della Perizia, veniva accertato che “la complicazione insorta all’esito del primo intervento (emorragia della linea di sutura della mucosa), pur rara, era prevedibile ma non prevenibile, poiché la sutura viene effettuata con mezzo meccanico; alcuni dati emersi dal diario clinico (andamento clinico emodinamico, valori dell’emocromo), però, erano stati sottovalutati o non considerati, sebbene indicativi dell’esistenza di una perdita ematica continua, anche se modesta, come confermato dalla comparsa di una fibrillazione atriale parossistica che aveva richiesto l’intervento stabilizzatore di un cardiologo, evento da ricollegarsi alla anemizzazione progressiva del paziente e ai valori dell’emoglobina in costante diminuzione”.

Il Consulente,  affermava che una tempestiva revisione delle linee di sutura era l’intervento indicato in tutte le pubblicazioni scientifiche sul tema (indicazione osservata anche dall’ausiliario nel suo reparto) e che la maggiore tempestività avrebbe limitato l’aumento di volume dell’ematoma, riferendo che, nella prassi, in alcuni casi esso era stato risolutivo, in altri no. Tuttavia, aveva poi chiarito che “alla luce della ingravescenza del quadro settico, l’atteggiamento attendista non poteva essere in alcun modo giustificato, esso avendo un senso solo nel caso in cui si prospettasse la necessità di contemperare la esecuzione di un nuovo intervento con le condizioni generali del paziente che, tuttavia, nella specie, erano andate via via peggiorando con il trascorrere del tempo”.

Infine, quanto all’ulteriore addebito (perforazione intestinale procurata nel corso del secondo intervento), il Consulente affermava che “non vi era certezza che essa fosse conseguenza della sua esecuzione poiché non ve ne era traccia nel verbale operatorio e neppure nel referto dell’esame istologico, ipotizzando pertanto un possibile distacco parziale della sutura muco-cutanea di abboccamento dello stoma alla parete della fossa iliaca sinistra”.

La Corte territoriale, ha riesaminato il materiale probatorio alla luce delle doglianze veicolate con i motivi d’appello ed ha precisato, a fronte della asserita mancanza di prova che un tempestivo intervento avrebbe determinato conseguenze differenti, sul pianto del giudizio controfattuale,  che sotto la supervisione dell’imputato le condizioni del paziente avevano avuto un andamento ingravescente, sia in conseguenza dell’atteggiamento attendista tenuto dopo il primo intervento, che per la errata esecuzione del secondo che provocava perforazione intestinale, a seguito del quale il Chirurgo aveva continuato a mantenere lo stesso atteggiamento immobilista, pur non avendo la stomia effettuata il 26/11/2014 iniziato a funzionare entro il termine massimo delle 72 ore.

Il ricorso viene integralmente rigettato con condanna alle spese.

Avv. Emanuela Foligno

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