La mancata specificazione della qualità del prodotto (pesce surgelato o naturale) integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, perché la stessa proposta di vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in modo non equivoco a commettere il delitto

Andare al ristorante dovrebbe essere un piacere eppure molte volte si può incappare in brutte sorprese. Non è raro che le pietanze che ci vengono servite non corrispondono a quanto contenuto nei menu. Peggio poi, se si scopre, come nel caso in esame, che il piatto che si è ordinato non è fresco ma si tratta di pesce surgelato.

E certo, non ci vuole un palato sopraffino per accorgersene.

Ebbene, la questione, oltre che assumere rilievo per il proprio palato è importante anche sotto il profilo penale.

Nella giurisprudenza di legittimità è stato più volte affermato che “integra il reato tentato di frode in commercio la mera disponibilità, nella cucina di un ristorante, di alimenti surgelati, seppure non indicati come tali nel menu, indipendentemente dall’inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore (Sez. 3, n. 39082 del 17/05/2017, Acampora, Rv. 270836; Sez. 3, n. 30173 del 17/01/2017, Zhu, Rv. 270146). Infatti la detenzione di alimenti congelati o surgelati all’interno di un ristorante, senza che nella lista delle vivande sia indicata tale caratteristica, integra il reato di tentativo di frode in commercio, trattandosi di condotta univocamente idonea a consegnare ai clienti un prodotto diverso, per qualità, da quello dichiarato (Sez. 3, n. 5474 del 05/12/2013, dep. 2014, Prete, Rv. 259149).

Il caso

Un caso analogo è quello che è stato sottoposto prima al vaglio dei giudici di Genova (Tribunale e Corte d’Appello di Genova) e poi a quelli di legittimità.

Il ristoratore era stato già condannato nel merito, alla multa di euro 600, stante la detenzione per la vendita, di prodotto ittico congelato e senza che di detta condizione fosse stato edotto il consumatore nel menu. La condotta a detta dei giudici del capoluogo ligure, integra il reato di tentata frode in commercio, sanzionato dagli artt. 56 e 515 cod. pen.

Il ricorso in Cassazione

La difesa decideva così di proporre ricorso in Cassazione, lamentando che non poteva dirsi concretizzata quella “univocità in concreto degli atti” idonei a configurare il tentativo di frode in commercio, atteso oltretutto che la questione si era posta solamente per due piatti, ossia la sfogliata di polpo e gambero rosso e la crudità di scampi di Sicilia e gamberi.

Non soltanto. Col secondo motivo, lo stesso deduceva che secondo la normativa Europea di riferimento e dunque, per espressa disposizione di legge, gli alimenti in questione non potevano che essere posti in vendita esclusivamente come congelati, sì che non doveva neppure esserci comunicazione, atteso che la vendita di crudità fresca senza congelamento non era consentita dalla legge.

Il ricorso è stato ritenuto infondato (Cass. sent. n. 56105/2018).

I giudici della Cassazione, dichiarano di condividere, l’espresso orientamento giurisprudenziale, in forza del quale può concretizzare la fattispecie di reato anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande, posta sui tavoli di un ristorante, che determinati prodotti sono congelati, in quanto l’esercizio di ristorazione ha l’obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori, di tal che la mancata specificazione della qualità del prodotto (naturale o congelato) integra il reato di tentata frode nell’esercizio del commercio, perché la stessa proposta di vendita non veritiera, insita nella lista vivande, costituisce un atto diretto in modo non equivoco a commettere il delitto di cui all’art. 515 cod. pen. (Sez.. 3, n. 899/2015).

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