È corretto affermare che la legge ammette la possibilità che anche un terzo estraneo alle attività di indagine e al procedimento, possa subire il prelievo di materiale biologico?

L’introduzione nel sistema del prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi (artt. 359-bis e 224-bis c.p.p.) è stato operato con la L. n. 85 del 2009 a seguito alla sentenza della Corte costituzionale 27 giugno 1996, n. 238 che aveva dichiarato incoercibile lo svolgimento della perizia cd. ematologica in ipotesi di mancata collaborazione del soggetto che avrebbe dovuto subire l’indagine biologica

In questa logica nel 2005, con il cd. decreto legge antiterrorismo (27 luglio 2005, n. 145 convertito nella L. 31 luglio 2005, n. 155), era stata introdotta una prima e specifica disciplina per il prelievo di materiale biologico a scopo identificativo (art. 349 c.p.p., comma 2-bis) e in sede di accertamenti urgenti sulle persone (interpolando l’art. 354 c.p.p., comma 3 – successivamente abrogato nella parte specifica -).

Con gli istituti in esame, previsti dagli artt. 349-bis e 224-bis c.p.p., è stato introdotto, poi, nel sistema un accertamento tecnico sulla persona, che è giunto ad ammettere la coazione della libertà personale, in caso di rifiuto da parte dell’interessato.

Per quel che qui interessa, l’art. 359-bis c.p.p. individua la categoria di riferimento dei soggetti destinatari degli accertamenti, con un richiamo alla “persona interessata”.

Ci si chiede dunque, se occorra che si tratti formalmente di soggetto indagato, già iscritto nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., per essere sottoposto a prelievo di materiale biologico o se invece, sia possibile eseguire il prelievo anche su individuo che risulti terzo, ma rispetto al quale il relativo accertamento possa offrire la prova dei fatti.

Nei lavori parlamentari antecedenti all’introduzione della norma citata, si tentò di introdurre un emendamento che potesse limitare l’accertamento ai soli soggetti iscritti nel registro degli indagati, al fine di evitare i cdd. massive screening. Ma l’opzione fu però respinta (emendamento n. 24.2. al progetto di legge A.C. 2042).

La vicenda

La Procura di Siena indagava su un caso di omicidio. Per quel delitto era stato indagato un uomo; tuttavia, sull’arma utilizzata per l’omicidio era stato repertato materiale biologico, che non apparteneva a costui e che era necessario attribuire geneticamente, per il prosieguo investigativo,.

Si sarebbe, invero, potuta conseguire una svolta nelle attività in essere e si sarebbe potuto acquisire un elemento di prova scientifica sui fatti.

Come anticipato, la legge ammette la possibilità di eseguire il prelievo coattivo anche su soggetti formalmente non iscritti nel registro degli indagati ma che risultino interessati.

È corretto, dunque, affermare che il lessico impiegato “persona interessata” ammetta la possibilità che anche un terzo estraneo alle attività di indagine e al procedimento possa subire il prelievo, sebbene con una serie di precisazioni.

La Prima Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 28538/2019) ha chiarito infatti che ciò non determina la conclusione secondo cui l’accertamento può giungere a realizzare massive screening o cdd. accertamenti di massa, coinvolgendo nelle verifiche di specie categorie intere di soggetti, più o meno ampie, tra le quali si sospetta possa esservi l’autore del fatto.

Si deve, invece, istituire un collegamento tra delitto e soggetto anche in chiave di ipotesi investigativa, sia pur seriamente supportata, che renda necessario l’intervento con il prelievo in questione.

Non basta, cioè, il mero sospetto o una pura e astratta congettura ovvero iniziative di carattere meramente esplorativo a fondare un intervento come quello in esame.

Il collegamento necessario autore-reato-terzo

«Detto collegamento non va limitato al solo rapporto autore-reato, ma è tale da comprendere ogni ipotesi in cui il soggetto si leghi alla commissione del fatto, per avervi assistito o per qualsiasi altra causa avendo egli contributo attraverso una causalità diretta o indiretta che, pur esistente, non integra contributo rilevante sul piano della tipicità del fatto, ma può risultare risolutiva o utile ai fini del suo accertamento».

Sarà, pertanto la motivazione del provvedimento che autorizza il prelievo a segnare la congruenza dell’intervento con gli accertamenti in esame e a delimitare l’ambito di tutela e garanzia dei diritti del terzo stesso, nel delicatissimo equilibrio tra le esigenze di investigazione e di accertamento del reato e quelle legate alla salvaguardia dei valori della persona che hanno presidio e tutela nella fonte superprimaria.

Nella specie, il giudice di merito aveva spiegato come le indagini in corso nei confronti del predetto indagato si fossero arricchite di un particolare importante, offerto dalla circostanza che sul luogo dell’omicidio erano stati rinvenuti tratti genetici che non appartenevano all’indagato iscritto e che il materiale anzidetto era sull’arma utilizzata per il fatto.

Detto aspetto è stato ritenuto indispensabile per acquisire elementi di prova in funzione del collegamento di quest’ultimo con il delitto stesso.

Tanto è bastato per affermarne la legittimità del prelievo.

Avv. Sabrina Caporale

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