Una sentenza della Cassazione si è espressa in merito ai rapporti subiti passivamente dalla moglie e ai casi in cui diventa violenza sessuale

I rapporti subiti passivamente dalla moglie possono configurarsi come una violenza sessuale?
Secondo la Corte di Cassazione, III sezione penale, che lo ha stabilito nella sentenza n. 51074/2017, il reato di violenza sessuale sussiste anche se la vittima non si oppone.
Pertanto, in caso di rapporti subiti passivamente dalla moglie e in presenza di un rifiuto implicito, il reato si compie.
Infatti, nel reato di violenza sessuale non ha valore scriminante il fatto che la vittima non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca.
Specie quando è provato che “l’autore, per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei confronti della vittima, abbia la consapevolezza del rifiuto implicito ai congiungimenti carnali”.
Nel caso di specie, un uomo è stato condannato a causa dei rapporti subiti passivamente dalla moglie.
Il marito aveva infatti compiuti veri e propri abusi, che si configuravano come tali dinanzi al rifiuto implicito della donna.

Inoltre, sul punto, è irrilevante la scelta della donna di non opporsi alle pretese del partner mantenendo altresì il riserbo sulle sopraffazioni subite.

Per tali ragioni, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato.
Questo è stato condannato, tra gli altri, anche per il reato di cui all’art. 609-bis (Violenza sessuale), in danno della moglie.
Nel suo ricorso, il marito sottolineava “la non credibilità e la contraddittorietà delle dichiarazioni della parte offesa”.
Inoltre, ha parlato di un interesse economico della donna e drl suo rancore. Non solo.
“L’imputato sottolinea che, prima della denuncia, la partner non aveva mai chiesto aiuto o parlato della vicenda con nessuno, neppure le figlie presenti nell’abitazione, e che non sussistevano referti medici attestanti la presunta violenza”.

Il ricorso, tuttavia, è stato respinto.

La Cassazione sottolinea il valore della doppia motivazione conforme resa da entrambi i giudici territoriali ed evidenzia un fatto importante.
Vale a dire che l’uomo ha impugnato la sola parte del provvedimento di merito riguardante il reato di violenza personale, nulla più quaestio sugli altri fatti di reato che gli sono stati iscritti. Ovvero maltrattamenti in famiglia, danneggiamento e lesioni personali.
Già questo, spiega la Cassazione, fa assumere credibilità alle dichiarazioni di parte civile.
Quanto al fatto che la donna non si fosse confidata con nessuno, ciò è naturalmente imputabile al pudore di trattare argomenti del genere soprattutto con la prole, che pure aveva assistito a ripetuti episodi di violenza domestica.
Per la configurabilità del reato di violenza sessuale, “è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, né la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali”.
Alla luce di queste circostanze, i rapporti subiti passivamente dalla moglie e il suo rifiuto implicito concorrono a configurare il reato di violenza sessuale da parte del marito.
 
 
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