Confermata la condanna di un’operatrice sanitaria accusata di reato colposo omissivo improprio per non aver disposto il trasporto di un paziente in ospedale con l’elisoccorso

Nel reato colposo omissivo improprio, da un lato, il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva e, dall’altro lato, il giudizio di alta probabilità logica deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto.

Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 11729/2021 pronunciandosi sul ricorso di una operatrice sanitaria condannata in sede di merito a un anno di reclusione (con pena sospesa) e al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituitasi nell’ambito del procedimento a suo carico per il reato di cui all’art. 589 cod.pen., basato sull’accusa di aver cagionato il decesso di un uomo in quanto, allertata del malessere di quest’ultimo e giunta nel luogo ove si trovava, con elicottero dell’elisoccorso, “effettuava una raccolta di dati anamnestici alquanto sommaria ed, anziché trasportare immediatamente il paziente nell’ospedale più vicino, lo abbandonava a se stesso, raccomandandogli di non praticare sforzi e di recarsi da solo presso un ospedale per l’esecuzione di un elettrocardiogramma”. L’assistito, poco dopo, si sentiva nuovamente male e, soccorso da sanitari austriaci, giungeva in elicottero, in stato di rianimazione cardio-polmonare, all’ospedale di Klagenfurth, dove decedeva per infarto miocardico acuto della parete anteriore con occlusione trombotica dell’arteria coronarica discendente.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la ricorrente deduceva, con un unico motivo, il vizio di motivazione relativamente all’esistenza del nesso causale tra la sua condotta colposa ed il decesso della vittima, essendo tutto il ragionamento dei giudici di merito fondato su un dato di fatto errato e, cioè, sulla ritenuta possibilità per l’elicottero dell’elisoccorso, ripartito di raggiungere, prima della crisi del paziente, l’ospedale di Udine, ove sarebbero state eseguite con successo le manovre salvifiche; tale conclusione non avrebbe tuttavia tenuto conto del tempo necessario per il trasferimento del paziente con la barella dalla baita al luogo di atterraggio dell’elicottero, in cima al monte, per il caricamento dello stesso e per il recupero dell’infermiere e dell’attrezzatura.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza inammissibile.

La Corte territoriale, infatti, aveva individuato l’orario di ripartenza dell’elicottero in modo del tutto ragionevole, alla luce del complessivo quadro indiziario e, condividendo le conclusioni del primo giudice, aveva, inoltre, ritenuto che, “anche tenendosi conto dei minuti aggiuntivi occorrenti per decollo e atterraggio e per i trasbordi del paziente”, vi sarebbero state elevate probabilità, confinanti con la certezza, di un intervento tempestivo dei sanitari essendo sufficiente un lasso temporale di circa 20 minuti per raggiungere Udine in elicottero, stante le favorevoli condizioni atmosferiche e l’ora diurna.

Del resto anche dalla sentenza di primo grado emergeva che “se l’imputata avesse .. optato per quella che appariva essere la soluzione più logica e più appropriata, anche in base al comune buon senso, in ragione sia delle condizioni cliniche…sia della natura montuosa dei luoghi”, nella migliore delle ipotesi l’uomo “sarebbe giunto all’ospedale di Tolmezzo o quello di Udine prima del manifestarsi della crisi cardiaca”, mentre nella più sfavorevole delle ipotesi “tale crisi si sarebbe manifestata nella parte conclusiva del tragitto aereo e nell’imminenza dell’atterraggio”, di modo che l’imputata “avrebbe potuto praticare a bordo dell’elicottero o immediatamente dopo l’atterraggio le prime e indispensabili manovre rianimatorie, nelle quali è specializzata, quali intubazione, massaggio cardiaco, defibrillazione (non eseguibile durante il volo, ma immediatamente dopo l’atterraggio), somministrazione di adrenalina, trombolitici, vasocostrittori e altri farmaci: risulta dagli atti che nella dotazione dell’elicottero sono inclusi il materiale per intubazione, il pallone manuale auto-espandibile, l’elettrocardiografo, il defibrillatore, i farmaci di emergenza e altri presidi per gli interventi urgenti”.

In definitiva, dunque, i giudici di merito avevano correttamente quantificato, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, il tempo di trasporto della vittima in un ospedale, tenendo conto anche delle operazioni indicate dal ricorrente, sebbene non analiticamente descritte, e delle relative oscillazioni della loro durata.

La redazione giuridica

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