Alla paziente viene diagnosticata sclerosi multipla probabile e successivamente presso altra Struttura sclerosi sistemica progressiva (Tribunale di Vibo Valentia, Sentenza n. 262/2021 del 30/03/2021 – RG n. 1315/2010 – Repert. n. 363/2021 del 30/03/2021)

La paziente cita a giudizio l’Azienda Sanitaria Provinciale onde vederla condannata al risarcimento dei danni cagionati a causa dell’errore diagnostico.

Nello specifico l’attrice deduce:

  • nel dicembre 2006 e successivamente, nel gennaio 2007, veniva ricoverata presso il Presidio Ospedaliero, Divisione di Neurologia;
  • in sede di dimissione, dapprima in data 20.12.2006, e poi in data 19.1.2007, le veniva diagnosticata “sclerosi multipla probabile”;
  • tuttavia a seguito di ulteriori accertamento, in specie svolti presso l’istituto neurologico Carlo Besta di Milano veniva formulata differente diagnosi di sclerosi sistemica progressiva, con corrispondente prescrizione terapeutica;
  • a causa dell’errore diagnostico del Presidio Ospedaliero di Vibo Valentia, subiva danni di natura irreversibile, in ragione della sottoposizione a cura medica errata e del ritardato inizio della terapia corretta.

Si costituisce in giudizio l’Azienda Sanitaria contestando l’addebito di responsabilità e chiedendo il rigetto della domanda.

La causa viene istruita attraverso acquisizione di documentazione sanitaria e CTU Medico-Legale, all’esito della fase istruttoria il Tribunale non ritiene fondata la domanda risarcitoria.

Previa esposizione della natura contrattuale della responsabilità gravante sulla Struttura Sanitaria, il Tribunale, con specifico riferimento al nesso di causalità, delinea gli approdi della giurisprudenza indicando che “allorquando la responsabilità medica venga invocata a titolo contrattuale, cioè sul presupposto che fra il paziente ed il medico e/o la struttura sia intercorso un rapporto contrattuale, la distribuzione inter partes dell’onere probatorio riguardo al nesso causale deve tenere conto della circostanza che la responsabilità è invocata in forza di un rapporto obbligatorio corrente fra le parti ed è dunque finalizzata a far valere un inadempimento oggettivo. Ne consegue che, per il paziente/danneggiato, l’onere probatorio in ordine alla ricorrenza del nesso di causalità materiale si sostanzia nella prova che l’esecuzione della prestazione si è inserita nella serie causale che ha condotto all’evento di danno, rappresentato o dalla persistenza della patologia per cui era stata richiesta la prestazione, od al suo aggravamento, fino ad esiti finali costituiti dall’insorgenza di una nuova patologia o dal decesso del paziente”.

Ciò posto, l’attrice riconduce i danni patiti all’errata diagnosi effettuata presso la Struttura di Vibo Valentia dove veniva diagnosticata “sclerosi multipla probabile”, con conseguente somministrazione di terapia farmaceutica ritenuta inadatta, essendo successivamente formulata diagnosi di “sclerosi sistematica progressiva”.

L’errata diagnosi e somministrazione terapeutica avrebbero cagionato danni irreversibili riconducibili, da un lato, alla somministrazione terapeutica errata e, dall’altro, alla tardiva introduzione della terapia farmaceutica corretta.

Il CTU ha affermato che “non si ravvisano elementi di censura nella condotta dei sanitari di Vibo V. riconducibili a imperizia, imprudenza e negligenza perché suddetti sanitari, sulla scorta anamnestico (da oltre due mesi la paziente riferiva disturbo del visus caratterizzato da progressivo appannamento del visus in occhio destro), ma soprattutto in seguito al riscontro di produzione intratecale di Ig verificato con rachicentesi e riscontro alla RMN di lesioni demielinizzanti posero diagnosi di “neurite ottica retrobulbare in corso di definizione diagnostica e Sclerosi Multipla probabile”. I segni e i sintomi da loro valutati rientrano, correttamente, nei criteri precedentemente esposti di Diagnosi clinica probabile. Peraltro, altri sanitari, appartenenti a struttura di altissima specializzazione di settore quale l’Istituto Carlo Besta di Milano, in fase iniziale confermarono la suddetta ipotesi diagnostica per poi giungere alla conclusiva diagnosi di certezza, dopo triplice ricovero, e svariati esami clinici e strumentali presso la suddetta struttura, solo nel maggio 2008 con appunto la diagnosi di “Sclerosi sistemica”…..”E’ da escludersi che la erronea diagnosi formulata presso il Presidio di Vibo Valentia fosse dovuta da imprudente, imperito o negligente comportamento dei sanitari”.

Invece, riguardo la somministrazione della terapia, a seguito della iniziale diagnosi, prescritta dai Sanitari di Vibo Valentia, il CTU osserva: “la terapia cui è stata sottoposta la sig.ra “interferone beta Rebif 22”, risulta inadeguata ossia inopportuna, rispetto alle conoscenze d’epoca e dei relativi protocolli e linee guide, perché doveva essere procrastinata in attesa di diagnosi di certezza o diagnosi cosidetta “maggiormente probabile”, visto le controindicazioni o cd effetti indesiderati che l’utilizzo di ogni farmaco può causare” . ……… ” La somministrazione di terapia non indicata non ha comportato esiti di carattere permanente, valutabili in sede medico legale nei termini tradizionali di danno biologico. Pur tuttavia è possibile quantificare il grado di invalidità temporanea parziale, in misura media relativa del 50%, derivante dalla somministrazione erronea della predetta terapia interferonica, per giorni 60″ .

In altri termini, il CTU ha considerato che la terapia farmacologica, considerate le controindicazioni, andava posticipata ad una fase di maggiore probabilità della diagnosi, e che, comunque, dalla predetta terapia sia conseguito un effettivo danno biologico valutabile secondo i criteri Medico-Legali.

La condotta colposa dei sanitari risulta, in tali termini, limitata alla somministrazione terapeutica con Intrferone Beta Rebif 22, perché precoce rispetto alla certezza della diagnosi.

In ogni caso, sottolinea il Tribunale, la riconducibilità dell’erroneo approccio terapeutico alla causazione di ulteriori danni invocata dall’attrice necessitava di specifica prova.

Tale prova non può dirsi raggiunta con la mera allegazione di uno stato depressivo correlabile ad una patologia tiroidea autoimmune della paziente.

Come evidenziato dal CTU “visto che l’ipotiroidismo era già subclinico lo stesso non è, con criterio di elevata probabilità, causalmente ricollegabile alla terapia interferonica quale agente eziopatogenico né quanto meno come aggravamento del quadro inziale (accertata transitorietà degli effetti indesiderati)”.

Per tali ragioni è da escludersi la sussistenza di una responsabilità relativamente alla diagnosi operata dai sanitari del Presidio Ospedaliero di Vibo Valentia, così come deve escludersi la sussistenza di una effettiva responsabilità dei sanitari in ragione della somministrazione di terapia farmacologica cui la paziente è stata sottoposta, attesa l’esclusione di una connessione causale della stessa con la causazione di danni biologici medicalmente valutabili.

Pertanto, se il CTU, malgrado abbia ritenuto non adeguata perché inopportuna la terapia farmacologica somministrata alla paziente, ha di fatto escluso che dalla somministrazione sia derivata la causazione di un danno biologico valutabile, non può a fortiori giustificarsi la previsione e quantificazione del tempo utile per ripristinare lo stato di salute iniziale del paziente atteso che si è ex ante esclusa la correlazione di un danno con la terapia farmacologica predisposta.

Per tali ragioni, il Giudice non condivide le conclusioni del CTU laddove, pur escludendo l’insorgenza di un danno biologico derivante dalla somministrazione di terapia farmacologica inadeguata, procede poi quantificando un periodo di 60 giorni di inabilità temporanea al 50%.

La domanda dell’attrice viene rigettata essendo, dunque, insussistente, una responsabilità dei sanitari nella formulazione della diagnosi di “sclerosi multipla probabile” e nella somministrazione della terapia di Interferone, cui non è risultato eziologicamente riconducibile nessun danno biologico.

Per tali ragioni, specifica il Tribunale, da ravvisarsi nell’accertamento di inopportunità della terapia sebbene dalla stessa non siano derivati effettivi danni, le spese di lite vengono interamente compensate tra le parti, così come le spese di C.T.U. Medico-Legale.

In conclusione, il Tribunale di Vibo Valentia, rigetta la domanda ; compensa interamente le spese di lite tra le parti; pone definitivamente a carico delle parti in solido le spese di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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