Una pronuncia della Cassazione ha fornito precisazioni sul reato di rifiuto di atti di ufficio e le sue ripercussioni in tema di responsabilità medica

Può il reato di rifiuto di atti di ufficio configurarsi laddove un medico si rifiuti di visitare un paziente in condizioni critiche?

Ebbene, con la sentenza n. 21631 del 4 maggio 2017, la Corte di Cassazione ha avuto modo di fornire alcune importanti precisazioni circa la configurabilità del reato di rifiuto di atti d’ufficio in ambito sanitario.

Nel caso di specie, un medico è stato condannato per il reato in questione poiché, pur a conoscenza delle condizioni critiche di un paziente, non era intervenuto per visitarlo.

Protagonista della vicenda è stato un medico di guardia. Il sanitario era stato condannato, sia in primo che in secondo grado, per il reato di rifiuto di atti di ufficio (art. 328 c.p.).

Ciò in quanto, mentre era in servizio presso una casa di cura, si sarebbe rifiutato senza motivo di recarsi al posto letto di un paziente ricoverato che, poco dopo, era deceduto.

Ritenendo la decisione ingiusta, il medico ha fatto ricorso in Cassazione al fine di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo la guardia medica, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto configurato il reato di cui all’art. 328 c.p.. Una valutazione errata, dal momento che, nel caso di specie, il paziente era ricoverato presso una struttura ospedaliera e affidato al personale infermieristico. Personale che, a suo avviso, avrebbe dovuto “monitorarne le condizioni fisiche ed i parametri vitali”.

Ne consegue, pertanto, che secondo il ricorrente non era configurabile il reato contestato, “che richiede l’indebito rifiuto del compimento dell’atto”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha ritenuto di potergli dare ragione, rigettandone il ricorso in quanto infondato.

Per la Cassazione, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione.

Ciò poiché ha rilevato come l’imputato, nonostante si trovasse in una stanza vicina a quella del paziente, “non aveva mai accolto le richieste dell’infermiera (…) che ne aveva più volte sollecitato l’intervento”.

Non è tutto. In seguito, era emerso che il medico “era a conoscenza della storia clinica del paziente, illustrata nella cartella clinica, e della complessità e pluralità di patologie che, dopo le dimissioni dal presidio ospedaliero pubblico, ne avevano comportato il ricovero nella Casa di cura”.

Pertanto, per la Cassazione il reato di rifiuto di atti di ufficio doveva ritenersi pienamente configurato.

L’imputato “pur in presenza di condizioni difficili nelle quali il paziente versava già al momento del ricovero”, non era intervenuto per una visita diretta. E questo nonostante il personale infermieristico avesse segnalato il rapido e progressivo peggioramento delle condizioni del paziente.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del medico, confermando integralmente la sentenza impugnata.

 

 

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