Risarcimento del danno per lesione dell’onore e della reputazione

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La vicenda tratta del risarcimento del danno per lesione dell’onore e della reputazione e vede coinvolti un importante editore del quotidiano Corriere della Sera, alcuni suoi giornalisti e il direttore (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 28 marzo 2025, n. 8192).

Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione di alcuni articoli di stampa ritenuti diffamatori dal (già) Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia. In seguito a tali pubblicazioni, il magistrato aveva adito le vie legali, presentando una domanda al Tribunale di Bergamo.

Il Tribunale di Bergamo aveva accolto le ragioni del Procuratore, condannando l’editore, i giornalisti e il direttore del Corriere della Sera al risarcimento del danno per lesione dell’onore e della reputazione. L’ammontare del risarcimento era stato fissato in complessivi 30.000,00 euro.

Il giudizio di Appello

Contro questa decisione del Tribunale di Bergamo, l’editore, i giornalisti e il direttore del Corriere della Sera avevano presentato appello alla Corte d’Appello di Brescia. Tuttavia, in data 11 agosto 2023, la Corte d’Appello ha rigettato il loro gravame, confermando di fatto la sentenza di primo grado

La Corte di Brescia, a fondamento della decisione (e per quanto di interesse), osservava che:

  • a) il Tribunale aveva ritenuto che gli articoli “erano incontinenti in ordine alle modalità con le quali erano state riportate con un’attenzione eccessiva diretta nei confronti della vittima”.
  • b) erano inammissibili ed irrilevanti e, comunque, tardivamente prodotte al fine della decisione… tutte le copiose allegazioni documentali delle parti perché afferenti ad altre e successive vicende.
  • c) le prove testimoniali articolate dai convenuti/appellanti non erano state correttamente ammesse vertendosi la causa sull’esame della documentazione allegata.
  • d) era evidente l’interesse pubblico alla diffusione delle notizie essendo stata la vittima nominato dirigente della Procura di Brescia, ufficio ricoperto all’epoca in cui sono stati pubblicati gli articoli oggetto di causa e nel 2017, quando l’attore era in carica, la Procura di Bergamo.

L’intervento di rigetto della Corte di Cassazione

I soccombenti si rivolgono alla S.C. e deducono, anzitutto, che in grado di appello, al fine di documentare la rilevanza pubblica dell’iniziativa inedita e portata a conoscenza dell’opinione pubblica e la verità del fatto, venivano anche prodotti quattro verbali, redatti dal CSM e contenenti le dichiarazioni di quattro dei nove magistrati, che avevano richiesto il trasferimento, al fine di provare la verità.

La Cassazione, nel rigettare il ricorso, argomenta che la motivazione della Corte territoriale dà atto del deposito tardivo di tutte le copiose allegazioni documentali delle parti dei fatti di causa. Pertanto, i ricorrenti avrebbero dovuto censurare l’erroneità di tale statuizione, dando conto della tempestività del deposito dei documenti prodotti soltanto nel grado di appello, siccome non potuti produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essi non imputabile.

Nel ricorso non si apprezza alcuna deduzione in tal senso. Si riscontra soltanto un generico riferimento ad una acquisizione avvenuta successivamente al deposito degli atti conclusivi del giudizio di primo grado. Questa acquisizione sarebbe avvenuta in considerazione di un accesso agli atti del CSM, inerenti in particolare le numerose richieste di trasferimento. A ciò si aggiunge un’ulteriore generica deduzione circa il deposito dei documenti che provavano il momento in cui gli appellanti ne avevano avuto la disponibilità. Tuttavia, non viene precisato quando effettivamente l’accesso a quegli atti vi sia stato. Soprattutto, e in via dirimente, non viene dedotto alcunché sulle ragioni a giustificazione del fatto di non aver potuto accedere agli atti del CSM in un momento tale da poterli poi produrre nel giudizio di primo grado.

Le critiche alla sentenza

In ogni caso, quanto censurato si palesa inammissibile anche alla luce del principio, consolidato, secondo cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale, o di altra prova, può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento.

I fatti storici rappresentati dai documenti (la missiva del dott. Clivio e i quattro verbali, redatti dal CSM) – come si darà conto in sede di scrutinio del secondo profilo di censura veicolato con il motivo in esame – sono stati tenuti presenti dalla Corte territoriale, la cui motivazione dà evidenza di una ratio decidendi che si incentra, essenzialmente, sulla insussistenza del requisito della continenza espositiva degli articoli giornalistici per cui è causa, così da non potersi ritenere che la prova documentale non ammessa sia idonea ad invalidare con certezza quella ratio decidendi.

Valutazione dei documenti e diritto di critica

Ad ogni modo, considerata la c.d. doppia conforme è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse.

Un tale onere non è stato affatto assolto dai ricorrenti, i quali, peraltro, affermano, in contraddizione con lo stesso tenore della doglianza, che l’esistenza dei fatti dei quali si deduce l’omesso esame risulta dal testo della sentenza, in cui sono richiamati.

Entrambi i Giudici di merito hanno esaminato i fatti (sottoposizione al CSM della questione del numero di trasferimento e la possibile sussistenza di problemi di natura ambientale a motivo delle richieste stesse) dei quali i ricorrenti assumono l’omessa considerazione; di qui, pertanto, l’infondatezza, in ogni caso, della censura stessa.

Risarcimento del danno per lesione dell’onore e della reputazione a causa di diffamazione a mezzo stampa

In tema di risarcimento del danno per lesione dell’onore e della reputazione a causa di diffamazione a mezzo stampa – quello per cui la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento, in concreto, delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la sussistenza di un esimente (diritto di critica e/o di cronaca) costituiscono accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità.

Le decisioni dei Giudici di merito sono intellegibili e danno conto dello sviluppo argomentativo a sostegno della decisione, senza incorrere in intrinseche e insanabili aporie.

I rilievi che precedono sono assorbenti anche delle doglianze che investono direttamente la ritenuta valenza diffamatoria e la mancata considerazione dell’esimente del diritto di critica.

Il ricorso viene integralmente rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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