Per la Cassazione è’ illegittima l’esclusione dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede per chi ruba le offerte dei fedeli

Chi ruba le offerte dei fedeli depositate nelle cassette della chiesa è passibile di condanna per il reato di furto aggravato. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione – V sezione penale – con la sentenza n. 5348/2018.

Gli Ermellini, nello specifico, hanno ribaltato la decisione dei giudici di merito che avevano scagionato l’imputato. Il Tribunale di Asti, infatti, aveva dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell’uomo, a causa della remissione della querela; decisione presa previa esclusione dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, originariamente contestata e prevista dal n. 7 dell’articolo  625 del codice penale.

La vicenda approdava comunque davanti alla Suprema Corte su iniziativa del Procuratore della Repubblica. Questi aveva impugnato la decisione del Tribunale piemontese, evidenziando nel suo ricorso l’errata applicazione della legge penale.

Il Pm, in particolare, contestava la legittimità dell’esclusione della circostanza aggravante ostativa al proscioglimento per remissione della querela.

A suo avviso tale fattispecie ricorrerebbe anche in caso di furto perpetrato su cose che si trovino in luoghi privati ma aperti al pubblico.

I Giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte, accogliendo il ricorso in quanto fondato. Gli Ermellini hanno richiamato un orientamento giurisprudenziale di legittimità consolidato in materia.

La sentenza n. 9245/2015 stabilisce effettivamente che l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, sussiste effettivamente “anche nel caso in cui la cosa si trovi in luoghi privati, ma aperti al pubblico e sia soggetta a sorveglianza saltuaria, posto che la ragione dell’aggravamento consiste nella volontà di apprestare una più elevata tutela alle cose mobili lasciate dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua”.

Non vi è pertanto nessun dubbio sul fatto che l’aggravante fosse stata “erroneamente esclusa dal Tribunale, peraltro con motivazione eccentrica in quanto riferita alla ritenuta modesta entità del fatto”.

Di conseguenza, conclude la Cassazione, il reato è perseguibile d’ufficio. Ciò comporta l’irrilevanza dell’intervenuta remissione della querela e l’illegittimità della pronuncia di non doversi procedere.

 

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