Confermata la penale responsabilità di uomo che si era impossessato abusivamente dei codici personali e segreti del servizio di gestione online del conto corrente della donna

Era stato condannato dai giudici del merito per detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici ai sensi dell’articolo 615 quater del codice penale. L’imputato, accusato di essersi abusivamente impossessato dei codici personali e segreti del servizio di gestione online del conto corrente della moglie M.M.A, era stato dunque condannato al risarcimento del danno morale (1.200 euro) patito dalla persona offesa.

Nel ricorrere per cassazione l’uomo deduceva, tra gli altri motivi, che il Giudice di appello, nel riconoscere la sua responsabilità, avrebbe ritenuto sussistente il delitto rispetto alle credenziali di secondo livello, senza tener conto che nel capo di imputazione non era riscontrabile alcun riferimento all’abusivo impossessamento di questi ultimi, violando così il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

La Cassazione, con la sentenza n. 11288/2020 ha giudicato il ricorso inammissibile.

I Giudici Ermellini hanno preliminarmente chiarito la distinzione tra la fattispecie descritta nell’art. 615-ter c.p. e quella di cui all’art. 615-quater c.p. rispettivamente in materia di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico e detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici. La prima punisce chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, o, quantomeno, vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi abbia diritto ad escluderlo. La seconda, per la quale era stato condannato l’imputato, si concretizza, invece, nel procurarsi o nel produrre, diffondere, comunicare o consegnare, abusivamente, parole chiave o altri mezzi idonei a realizzare l’accesso ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza.

Alla luce di tale precisazione appariva, quindi, del tutto inconferente il rilievo, avanzato dal ricorrente, per cui, nei capi di imputazione formulati nei suoi confronti, si sarebbe inteso distinguere l’accesso al sistema online del conto corrente da quello allo spazio dispositivo, considerato che l’art. 615 quater c.p. non punisce una condotta di accesso, ma, piuttosto, il semplice possesso abusivo di password o altri mezzi idonei a realizzare il suddetto accesso.

Per la Cassazione, a rilevare sul punto è il fatto che la formulazione letterale del capo d’imputazione, riferendosi ai “codici personali segreti univocamente identificativi del servizio di gestione online del conto corrente” intestato alla parte civile, sia idonea a comprendere anche i cosiddetti codici di secondo livello, necessari per l’accesso allo spazio dispositivo.

Per questo motivo il riferimento al servizio di gestione telematica del conto corrente è da considerare come un’espressione generica che può essere riferita anche allo spazio dispositivo, tanto che tale circostanza risulta dimostrata anche dal fatto che, all’imputato, fosse stata contestata l’aggravante di aver agito con il fine di commettere un delitto di frode informatica di cui al comma 3 dell’art. 640 ter c.p.

La redazione giuridica

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