Per i giudici viene integrata la fattispecie criminosa di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altre documenti per operazioni inesistenti.

In merito alla dichiarazione di spese mediche false nel 730 la Cassazione– terza sezione penale – ha fatto chiarezza con la sentenza n. 17126/2018.

Per i giudici, infatti, la fattispecie criminosa di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altre documenti per operazioni inesistenti è integrata se si dichiarano spese mediche false nel 730.

La falsità, specifica la Corte, può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, mentre rientrano nella nozione di documenti anche quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture.

Tra questi sono inclusi ricevute fiscali e documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburante.

Nel caso di specie, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso di una serie di persone responsabili, in associazione a delinquere, di aver commesso più delitti. In particolare, quello di evasione fiscale.

A tutti si imputava di aver predisposto documentazione sanitaria materialmente falsa. Questa aveva consentito a numerosi contribuenti di presentare dichiarazioni dei redditi fraudolente per l’esposizione di spese sanitarie mai sostenute. Per queste, spettava la detrazione Irpef del 19%.

Oltre a questo, si era raggiunto il risultato illecito di far ottenere ai contribuenti un rimborso IRPEF non dovuto. Questo era pari a oltre 2 miliardi di euro. Metà di questi era stata versata ai criminali dagli stessi contribuenti.

In Cassazione, alcuni tra gli imputati hanno contestato l’aver ritenuto sussistente il delitto associativo (anziché del concorso di persone nel reato continuato).

Oltre a ciò, contestavano l’erronea interpretazione della legge sul reato in oggetto.

Secondo la difesa, i documenti falsi erano stati creati in un momento successivo all’elaborazione informatica e alla trasmissione della dichiarazione. Inoltre, non furono registrati nelle scritture obbligatorie dei soggetti emittenti. Questo perché si trattava di soggetti privati.

Pertanto, il fatto non rientrava a loro avviso nella fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, bensì nella diversa ipotesi contemplata dall’art. 4 del medesimo d.lgs., ossia il reato di dichiarazione infedele.

La Cassazione ha motivato in modo dettagliato la sussistenza del reato associativo, mentre, quanto alla fattispecie delittuosa, richiamano dei punti fermi di precedenti giurisprudenziali di legittimità.

Per la Corte, la dichiarazione di spese mediche false nel 730 integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Questo per via della falsa indicazione, nella dichiarazione IRPEF, di spese deducibili dall’imposta, quando le stesse non siano state effettuate o siano state effettuate in misura inferiore.

Per “documenti” si intendono quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture, tra cui ricevute fiscali e simili, nonché quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta.

Tra questi, appunto, le ricevute per le spese mediche o per interessi sui mutui e le schede carburanti.

Tutti documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi, ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici.

Qualora le spese documentate siano deducibili dall’imposta, l’indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato. E ciò per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi.

Quindi, nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, la falsità può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione.

Spiegano i giudici che i “soggetti diversi da quelli effettivi”, ai sensi dell’art. 1 lett. a), del citato d.lgs., saranno coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale.

Tuttavia, non c’è fondamento nell’affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti.

Oppure, siano soggetti che non abbiano mai avuto nessun rapporto con il contribuente che utilizza il documento medesimo.

Anche così, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.

Alla luce di ciò, conclude la Cassazione, l’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 è applicabile a entrambe le tipologie di falso (ideologico e materiale).

Questo tenuto conto che la frode sanzionata da tale norma si distingue da quella di cui all’art. 3 non per la natura del falso, ma per il rapporto di specialità reciproca esistente tra le due disposizioni legislative.

Alla dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave specializzante, nell’art. 2, l’utilizzazione di fatture e documenti equiparabili relativi a operazioni inesistenti.

Infine, nell’art. 3, la falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie congiunta con l’utilizzo di mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e la previsione di una soglia minima di punibilità.

 

 

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