In primo grado, il Tribunale di Reggio Calabria, aveva condannato un uomo per il delitto di atti persecutori (o stalking) commessi ai danni della donna con la quale aveva intrattenuto una relazione sentimentale

L’azione delittuosa si era verificata nel periodo compreso tra il 20 giugno 2014 e l’8 luglio dello stesso anno. E, tanto è bastato al giudice di primo grado per condannare l’uomo alla pena di otto mesi di reclusione con sentenza confermata anche in appello.
Ma per l’imputato si trattava di una vera e propria ingiustizia dal momento che la corte territoriale nel confermare la decisione di primo grado, non aveva tenuto conto del ristretto lasso temporale in cui erano maturate le condotte.
Del pari, riteneva errato l’inquadramento della sequenza di sms inviati alla persona offesa nel reato di stalking, piuttosto che nello schema legale della contravvenzione di molestia o disturbo alle persone.

Il giudizio di legittimità

Per i giudici della Cassazione, la Corte di Appello aveva dato adeguatamente conto del proprio convincimento in ordine a tutte le doglianze difensive ed in particolare alla censura della errata qualificazione giuridica del fatto, valorizzando le modalità della condotta, assillante, implacabile e morbosa dell’imputato, perpetrata in un arco temporale niente affatto insignificante, che perdurava fin dall’inizio della relazione sentimentale e tale da ingenerare nella vittima uno stato d’ansia ed indurla a cambiare le proprie abitudini di vita quotidiana.
Infondata era anche, la censura relativa alla inidoneità dei suoi comportamenti a realizzare la condotta di stalking sol perché concentrati in un arco temporale molto breve, – a sua detta – insufficiente a realizzare il carattere persecutorio che connota il reato contestato.
Ed invero, secondo l’insegnamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, ai fini della configurabilità del reato di stalking, non è necessario che la reiterazione delle condotte, per risultare persecutorie, si dipani in un arco temporale apprezzabilmente lungo, poiché ciò che rileva è che esse, considerate unitariamente, risultino idonee a ingenerare nella vittima un progressivo stato di disagio e di prostrazione psicologica, tale da dare luogo a uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice.
Ebbene, ancora una volta, i giudici Ermellini hanno ritenuto dover dar seguito a tale orientamento, ribadendo che il reato di atti persecutori è integrato anche da singole condotte reiterate in un arco temporale ristretto, a condizione che si tratti di atti autonomi e che la reiterazione di essi, benché temporalmente concentrata, sia eziologicamente connessa con uno degli eventi considerati dall’art. 612 bis c.p.
Ad ogni modo, nel caso in esame, i (plurimi) fatti persecutori denunciati dalla vittima, e accertati in dibattimento, si erano registrati in un arco temporale ben più ampio, tali da rendere indubbio il collegamento funzionale di essi con lo stato d’ansia, registrato dai medici, e con il cambiamento delle abitudini di vita della vittima, confermato dai testi.

Stalking o molestie?

Altrettanto infondato era l’argomento difensivo volto ad inquadrare la condotta del ricorrente nello schema della contravvenzione di cui all’art. 660 c.p..
Tale fattispecie, che configura la molestia o il disturbo alle persone, mira a prevenire il turbamento della pubblica tranquillità attuato mediante l’offesa alla quiete privata, è fattispecie del tutto autonoma e distinta da quella di atti persecutori, rispetto alla quale non vi è assorbimento, per la diversità dei beni giuridici tutelati (l’una la libertà individuale, l’altra la quiete privata e l’ordine pubblico), e per la diversa struttura del reato – configurandosi l’uno come delitto necessariamente abituale di danno, e l’altro come reato di pericolo, non necessariamente abituale.
In sostanza, sebbene le due fattispecie possano essere connotate dalla molestia, che può costituire un nucleo strutturale comune, esse presidiano beni giuridici diversi, e, soprattutto, la molestia, nel delitto di stalking, si deve inserire in una sequenza ripetitiva idonea a produrre uno degli eventi di danno descritti dalla norma.
Nel caso di specie, la molestia telefonica, pure perpetrata dall’imputato ai danni della persona offesa, aveva costituito solo una delle forme in cui si è manifestata la complessiva condotta persecutoria attuata ai danni della persona offesa.
Per tutti questi motivi il ricorso è stato respinto e dichiarato inammissibile

La redazione giuridica

 
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