Viaggio nel mondo dei tatuatori, professione cui manca una regolamentazione chiara con conseguenti difficoltà nell’individuazione di eventuali responsabilità   

Su un giornale leggiamo che il Tribunale di Roma, interpellato sul caso di una ragazza che dopo essersi fatta fare un tatuaggio ha contratto un’infezione tale da doverlo rimuovere, ha respinto la sua richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del tatuatuore e del centro estetico dove si era recata per l’esecuzione. Il medico legale incaricato dal giudice di verificare eventuali nessi tra le lesioni e l’esecuzione del tatuaggio ha stabilito che l’infezione non è riconducibile a essa. Non ci sono dunque prove che l’infezione sia stata contratta a causa della mancanza di accorgimenti igienici e pertanto la ragazza non otterrà nulla.

Questo evento scoperchia un mondo sommerso dove non esiste una legislazione specifica. In Italia esistono solo delle linee guida fornite dal ministero della Salute emanate nel 1998 che ogni regione interpretata a modo suo. Alcune hanno emanato delle leggi specifiche, altre si attengono solo alle linee guida. Le circolari prendono in considerazione solo i rischi di trasmissione di infezioni e le misure da applicare per i controlli dei rischi sanitari, ambientali e misure di barriere.

Un fenomeno di massa, quello di piercing e tattoo, che si è sviluppato forse troppo in fretta rispetto all’adeguamento delle Autorità competenti. L’attività di tatuatore però non rientra tra quelle pericolose previste dall’articolo 2050 del Codice Civile seppure utilizzi degli aghi. Il Codice prevede un risarcimento per danni imputabili all’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi utilizzati, e dunque questa non ne fa parte, nonostante abbia a che fare con l’iniezione di sostanze sottocutanee ed esposizione al rischio di infezioni se la strumentazione non è sterilizzata come istruisce l’Istituto superiore di sanità.

Unico obbligo, per chi si vuole avvicinare a questa professione, è la frequenza di un corso di formazione della durata di 90 ore. Dopo di che è possibile andare alla Camera di Commercio, aprire una partita IVA e iniziare l’attività. Molti dei tatuatori operano in casa privatamente, senza questa certificazione, e nella maggior parte dei casi l’azienda sanitaria che dovrebbe verificare le condizioni igieniche sanitarie dove si eseguono tatuaggi non si è mai presentata. Non esiste inoltre un “Albo”, una categoria di tatuatori a cui fare riferimento e quindi una deontologia professionale da seguire. Molte cose sono semplicemente lasciate al “buon senso”, come confermano gli operatori che abbiamo interpellato.

Responsabile Civile ha raggiunto alcune botteghe tattoo per alcune domande in merito.  Antonio, proprietario di un’attività nella zona sud di Roma, racconta che da lui i controlli sanitari non sono mai arrivati e che per fortuna non ha mai avuto problemi con i suoi clienti. Alla richiesta se lui faccia firmare qualche foglio per lo scarico di responsabilità risponde di no, non fa firmare nulla. Il suo è un circolo culturale, al quale semplicemente ci si associa prima di eseguire il tatuaggio. A chi gli si presenta chiede come ha conosciuto il posto, se ha già visto qualche suo tatuaggio,  magari sui social, o se per caso lo ha indirizzato qualcuno.

Se ci sono delle complicazioni in seguito all’esecuzione del tatuaggio (rossori, edemi ecc) segue la persona e dà indicazioni su cosa fare. Una volta – ricorda – una ragazza aveva avuto problemi di gonfiore. In quel caso è bastato aspettare un po’ e monitorare la zona interessata e il problema si è risolto da solo.

Antonio ci racconta inoltre che per quanto riguarda i colori lui preferisce comprare quelli certificati, e per non avere problemi di allergie o peggio preferisce non utilizzare il rosso chiaro, tonalità in cui è presente un derivato del mercurio, una sostanza tossica ma comunque reperibile da altre parti se desiderata.  Secondo quanto ci racconta sono molti quelli che i colori invece preferiscono farseli da sé, mescolando le varie sostanze per ottenere le gradazioni favorite. Anche in questo caso senza nessun controllo sanitario.

Mentre aspettiamo di parlare con lui una ragazza accompagnata dalla madre esprime il desiderio di avere un cuoricino sulla clavicola sinistra. Chiede il costo e la modalità di esecuzione. E’ necessario però il consenso di entrambi i genitori. Per quello non c’è problema, ne discuterà con mamma e papà e ritornerà appena deciso.

Antonio conferma la massiccia diffusione di tatuatori che non seguono le norme igieniche, che operano con guanti sporchi e strumentazione non adeguatamente pulita. Precisa inoltre che 90 ore non sono sufficienti a imparare il mestiere. È la pratica la cosa fondamentale. Lo è stato anche per lui.

A sottolineare la necessità di integrare al corso di formazione un serio tirocinio con professionisti ultra qualificati è l’APTPI (Associazione Piercer Tatuatori Professionisti Italiani) con sede nel Veneto, che a Responsabile Civile lamenta l’assenza di leggi specifiche  in materia e poca garanzia per la salvaguardia della salute del cliente e di una categoria professionale troppo spesso sottovalutata. Le assicurazioni farebbero fatica – spiegano – a valutare l’esistenza o meno di danni ed eventualmente coprirli. Su quali basi si fanno delle polizze assicurative si chiede il rappresentante dell’APTPI che concorda inoltre sul fatto che l’attività del tatuatore dovrebbe rientrare fra quelle pericolose.

Anche un’associazione di tatuatori romana interpellata sulla questione denuncia il totale disinteresse da parte del Ministero sul tema “tatuaggi”. Nella loro associazione – spiegano – rientrano i professionisti. Ci sono in giro troppi incapaci – raccontano – e ormai ce ne sono troppi di cui la maggior parte sono irregolari. “Stando al corso previsto dalle Regioni poi, che venga bene o venga male il tatuaggio per il Ministero è sempre arte e dunque nessun risarcimento. Il 60% dei lavori che facciamo qui è di copertura o di rimessa a posto di lavori sbagliati. Del resto se vai dentro una casa in fondo sai che cosa rischi. Sono anni che ci battiamo col Ministero per una maggiore tutela del cittadino, ma non ci sentono”.

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