Solo una condizione esterna può impedire la scarcerazione senza che il Pubblico ministero commetta una grave violazione di legge

Il magistrato che dispone la scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare commette una grave violazione di legge. Eventuali difficoltà organizzative dell’ufficio sono irrilevanti in quanto la compromissione del diritto alla libertà può essere giustificata unicamente da circostanze esterne che impediscano in maniera assoluta la scarcerazione.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18397 del 20 settembre 2016, pronunciandosi sul caso di un magistrato sottoposto a procedimento disciplinare per violazione dell’articolo 2, lettera g) del decreto legislativo n. 109 del 23 febbraio 2006 (“Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità…”), in base al quale costituisce illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile”. Il magistrato, nello specifico, aveva omesso, in due occasioni, di richiedere la scarcerazione di un indagato agli arresti domiciliari nonostante fossero scaduti i termini della custodia.

La Suprema Corte, confermando l’orientamento dominante in giurisprudenza, ha precisato che la mancata applicazione della normativa che impone la scarcerazione dell’indagato, è possibile solamente se occorre una circostanza che rientri nelle cosiddette “condizioni di esigibilità” dell’ottemperanza al precetto normativo; in altre parole è necessario che intervenga un elemento esterno all’illecito tale da imporre i termini di carcerazione preventiva nella fase cautelare. Oltre tali termini la lesione del diritto di libertà non è giustificata, rappresentando una grave violazione diritto fondamentale della libertà, tutelato dalla Costituzione.

Gli Ermellini hanno evidenziato, inoltre, come eventuali carenze del fascicolo non possano esonerare il magistrato dalla responsabilità. Allo stesso modo, qualora sia il difensore dell’imputato a non aver allertato il Pubblico ministero, come nel caso in questione, tale omissione non determina una condizione di “inesigibilità” della condotta del magistrato ma può incidere solamente sulla misura della sanzione disciplinare applicabile al responsabile.

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