La presenza dell’apparecchio configura reato anche se non funzionante o installato per motivi di sicurezza

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 45198 del 26 ottobre 2016, ha fornito degli interessanti chiarimenti circa la legittimità per il datore di lavoro controllare l’operato dei suoi dipendenti mediante l’installazione di telecamere con specifico riferimento alla dotazione dell’apparecchiatura per motivi di sicurezza.

Gli Ermellini si sono pronunciati sul caso che vedeva i due amministratori di un locale notturno condannati in primo grado in base alla normativa contenuta nello Statuto dei lavoratori, nonché nel Codice della Privacy. In particolare gli imputati venivano riconosciuti colpevoli per aver “installato e posto in funzione nei locali di tale club impianti ed apparecchiature audiovisive dalle quali era possibile controllare a distanza l’attività dei lavoratori dipendenti, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e con la commissione interna e senza osservare le modalità indicate dalla locale Direzione Territoriale del lavoro”.

Nel loro ricorso i condannati lamentavano l’errata interpretazione delle deposizioni testimoniali da parte del Tribunale in cui veniva riferita la presenza di una telecamera. I due gestori sottolineavano che tale telecamera, la sola presente e “di cui non era neppure stata accertata la funzionalità”, aveva un funzione puramente difensiva, “essendo prossima alla cassa e volta quindi a prevenire ed accertare comportamenti illeciti dei dipendenti, e non anche a raccogliere notizia sulla attività lavorativa dei dipendenti stessi”.

Ma tali argomentazioni non sono state accolte dalla Suprema Corte che ha rigettato il ricorso confermando la sentenza del Tribunale e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio. I giudici del Palazzaccio, in particolare, hanno ribadito la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che “vieta espressamente l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentano il controllo a distanza dei lavoratori”,  e ne permette l’installazione solo previo accordo con le rappresentanze sindacali o il permesso dell’Ispettorato del lavoro.

Tale norma, infatti,  ha l’obiettivo di “salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori” e per l’integrazione del reato derivante dalla sua violazione è “sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l’attività dei lavoratori”, indipendentemente dal numero e dal loro effettivo funzionamento.

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