Per il presidente dell’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, l’apertura di un mercato – per quanto controllato – non sarebbe la soluzione, perché coinvolgerebbe dei soggetti deboli che agiscono in condizioni di necessità
«L’ipotesi di una donazione compensata o anche l’apertura di un mercato controllato e sicuro sarebbe una risposta inaccettabile e soprattutto falsa a un problema invece vero di tipo assistenziale».
Così il presidente dell’AIDO Vincenzo Passarelli, intervistato da «Responsabile Civile», ha chiarito la posizione dell’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, rispetto alla possibilità che lo Stato risarcisca i donatori di rene, una ipotesi avanzata in America, nell’ambito di un dibattito che periodicamente si riaccende e che cerca di trovare una soluzione, soddisfacente anche da un punto di vista economico, al problema della carenza di organi per i trapianti.
Dott. Passarelli, cosa pensa dell’ipotesi, prospettata in America da alcuni studiosi, di risarcire i donatori di rene?
In America, dibattiti di questo tipo si aprono periodicamente, in genere quando c’è carenza di donatori di rene. Ci sono personalità anche di un certo livello (penso all’economista premio Nobel, Gary Becker) che partono dal principio per cui i contribuenti potrebbero salvare migliaia di vite umane solo se lo Stato intervenisse in termini risarcitori. Non si può dimenticare, però, che la donazione coinvolge due soggetti deboli (da una parte il donatore e dall’altro il paziente) e che entrambi agiscono in condizioni di necessità, una di carattere economico e l’altra di salute.
Quindi l’AIDO non condivide questa posizione?
Noi come associazione abbiamo sempre pensato che l’ipotesi di una donazione compensata o anche l’apertura di un mercato controllato e sicuro – così definito dal momento che non ci sarebbe nessuna transazione tra privati, visto che lo Stato è il tramite del risarcimento – sarebbe una risposta inaccettabile e soprattutto falsa a un problema invece vero di tipo assistenziale.
Perché si riduce la donazione a un mero conto economico?
Esatto, si fa un discorso esclusivamente economico, ma è un’impostazione data anche dallo stesso sistema sanitario americano.
Eppure, gli interlocutori coinvolti sono tutti di altro profilo…
È vero, ma si tratta di prese di posizione che appartengono ad alcuni bioeticisti “avanzati” per così dire. Pensiamo a John Harris, secondo il quale, in una logica di mercato dove tutto si compra, non ci sarebbe niente di strano se un cittadino decidesse di “vendere” una parte del proprio corpo, un organo (naturalmente di quelli pari) allo Stato.
In realtà, però, chi prospetta queste posizioni sta molto attento a parlare di “risarcimento” e non di vendita…
Certo, perché anche la legge americana, come quelle di tutti i paesi civili compreso l’Italia, ovviamente, proibisce categoricamente la compravendita di organi e di tessuti. Nel nostro paese, la legge sulla donazione di rene da vivente prevede che si segua un iter molto specifico, non solo dal punto di vista immunologico. Addirittura, c’è anche un’indagine da parte di un giudice che deve accertare che non ci sia una costrizione psicologica o economica di alcun tipo. Qualora fosse accertata una simile circostanza, la donazione verrebbe bloccata. Pensi che, in Italia, il chirurgo che esegue un trapianto di rene da vivente, non può procedere se non ha l’autorizzazione del giudice.
Non si può negare, tuttavia, che ci siano delle spese importanti a cui donatori e riceventi vanno incontro…
Sì, ma nel momento in cui c’è l’autorizzazione al trapianto, sono assicurate tutta una serie di garanzie ai pazienti. Ci sono voluti più di 40 anni per avere un Regolamento di esecuzione della donazione di rene da viventi, ma noi, assieme alla Rete Nazionale Trapianti abbiamo preteso che ci fosse anche la tutela della persona che dona – prima e dopo – sia dal punto di vista della salute che da quello giuslavoristico.
In concreto questo in cosa si traduce?
Il donatore non deve perdere giornate di lavoro, deve avere l’esenzione, deve, soprattutto, potersi sottoporre ogni anno a una verifica della sua salute e questo è previsto dal Regolamento di esecuzione sin dal 2010.
Quindi non si può certo che il donatore viene abbandonato a se stesso da un punto di vista assistenziale..
No, assolutamente. Questo, però, purtroppo avviene nei paesi dove un simile regolamento non c’è. Come in alcune zone dell’America Latina, in alcuni paesi delle ex repubbliche sovietiche…
Ma parliamo di casi limite…
Certo: nei paesi dove la donazione di rene da vivente è regolamentata c’è la tutela sia del donatore che del ricevente. Nel nostro paese, tuttavia, le posso dire che negli anni ci sono stati dei problemi, ma solo prima che entrasse in vigore il regolamento di esecuzione, nonostante poi già la legge esistente prevedesse una forma di tutela. Il problema è che le responsabilità venivano rimbalzate da una parte all’altra tra Inps e quelle che allora si chiamavano Asl. Oggi, invece, le cose sono chiare e ognuno sa il suo compito: all’Inps è affidata la tutela della persona che dona.
Qual è il futuro della donazione? Quali sono le strade da intraprendere per migliorare i dati statistici?
Noi come associazione siamo favorevoli alla donazione da vivente, soprattutto tra consanguinei, ma pensiamo che non debba essere sostitutiva alla donazione da cadavere. Anzi, siamo convinti che nel nostro paese si debba arrivare a un cambio di mentalità tale per cui ogni cittadino sceglie di farsi un po’ carico della salute degli altri. È un atto di altruismo, ma anche di responsabilità e non solo verso gli altri, ma anche verso se stessi. Il cittadino deve partecipare a questa sfida, ma le istituzioni non possono e non devono essere da meno.
In che senso?
Se guardiamo i numeri ci accorgiamo subito che nel nostro paese abbiamo delle realtà che lavorano benissimo (ad esempio la Regione Toscana), e altre, come alcune regioni del Sud o del Centro Sud, che sono molto indietro sul fronte dei donatori e questa forbice incide tantissimo anche sul momento donativo. Ci vuole, quindi, maggior impegno da parte degli assessorati alla salute delle Regioni. E le assicuro che laddove la sanità è organizzata, anche le donazioni funzionano. Dobbiamo assolutamente riempire questo gap.
Per approfondire: LA LEGISLAZIONE ITALIANA SUI TRAPIANI
A cura di Monica Gasbarri