Traumi interni dopo la caduta e decesso del lavoratore

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traumi interni

La domanda di regresso dell’Inail è legittima essendo la responsabilità del datore di lavoro derivante da sentenza penale di condanna, il cui giudicato fa stato nel giudizio civile (Tribunale di Ascoli Piceno, Sez. Lavoro, Sentenza n. 38/2021 del 24/04/2021- RG n. 779/2018)

L’Inail conviene in giudizio la Società datrice di lavoro, nonché i soci illimitatamente responsabili, onde vederne accertata la responsabilità nella causazione dell’infortunio sul lavoro, con conseguenti traumi interni, occorso al congiunto in data 20.11.2007, e conseguentemente vederne la condanna in solido al pagamento della somma di euro 179.764,42, richiesta in via di regresso ai sensi degli artt. 10 e 11 DPR 1124/65, 2043 e 2087 c.c., 185 c.p.c. e 651 c.p.p. per le prestazioni erogate in favore del coniuge superstite, oltre interessi e spese, diritti ed onorari di causa.

Si costituiscono in giudizio tutti i convenuti, contestando integralmente quanto dedotto e richiesto dall’Inail perché infondato in fatto e diritto, con particolare riferimento ai confini delle responsabilità dei legali rappresentanti per l’infortunio sul lavoro occorso, chiedendo autorizzarsi la chiamata in giudizio della Vittoria Assicurazioni affinchè, rispondendo della garanzia assicurativa, la stessa manlevasse la società resistente da tutte le richieste avanzate dall’Inail.

Autorizzata la chiamata, si costituisce in giudizio la Compagnia Vittoria Assicurazioni eccependo la inoperatività della garanzia assicurativa asserendo che il lavoratore non fosse dipendente, ma lavoratore autonomo, che era rimasto vittima di infortunio, riportando traumi interni, mentre prendeva parte all’attività della società convenuta non potendo, pertanto, considerarsi terzo a termini di polizza.

Il Tribunale, previa istruzione della causa attraverso l’acquisizione della documentazione, ritiene la domanda dell’Inail fondata.

Dalla documentazione prodotta emerge:

  • in data 22.11.2007 perveniva denuncia di infortunio del lavoratore, il quale, in data 20.11.2007, mentre effettuava dei lavori di saldatura su di un impianto a metano in un cantiere allestito in Grottammare su incarico del datore di lavoro, precipitava da una scala di oltre 3 mt, subendo gravissimi traumi nell’impatto che causavano una emorragia interna inarrestabile, cui seguiva il decesso;
  • a seguito dell’infortunio e del decesso veniva aperto presso la Procura della Repubblica di Fermo procedimento penale N. 404/07 RGNR a carico dei titolari della società perché ” in concorso tra loro nella qualità di responsabili legali e soci titolari , nel far eseguire lavori inerenti la realizzazione di una condotta di metano presso un opificio, per colpa, dovuta alla omessa verifica dell’utilizzo di idonei sistemi atti ad evitare cadute dall’alto dei lavoratori, dipendenti (art. 16 DPR 164/56) durante l’espletamento dei lavori di saldatura ad un’altezza superiore a m t. 2, cagionavano il decesso del lavoratore dipendente, il quale, mentre effettuava la saldatura di una condotta per la fornitura del gas metano, al di sopra di una scala a pioli, cadeva da un’altezza di mt. 3; caduta dovuta alla menzionata mancanza di idonei sistemi atti ad evitare cadute (quali la mancata verifica dell’utilizzo di un apposito “trabattello”); per tale negligenza il lavoratore riportava lesioni tali da cagionarne il decesso”;
  • detto procedimento si concludeva con sentenza n. 261 del 7.05.2012, con la quale il Tribunale di Fermo, riconosciuta la penale responsabilità degli imputati, li condannava alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento di una provvisionale in favore dell’Inail, costituitosi parte civile, pari ad Euro 20.000,00, rimettendo le parti innanzi al Giudice civile per l’esatta quantificazione del danno;
  • la Corte di Appello di Ancona con sentenza n. 3406/15 del 21.09.2015 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Fermo, la quale veniva altresì confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1219/17 del 14.03.2018;
  • l’Inail, trattandosi di infortunio sul lavoro, provvedeva a costituire una rendita da corrispondere agli aventi diritto pari ad Euro 199.764,42.

Ne deriva che la domanda di regresso azionata dall’Inail è legittima essendo la responsabilità del datore di lavoro derivante da sentenza penale di condanna, il cui giudicato fa stato nel presente giudizio civile a norma dell’art. 10 del D.P.R. 1124/65, art. 185 c.p. e dell’art. 651 c.p.p., stante anche la partecipazione quale parte civile dell’Istituto ricorrente a tutti e tre i gradi di giudizio e da ciò deriva, per l’appunto, la responsabilità civile dell’imputato condannato in via definitiva riguardo la sussistenza del fatto, la sua illiceità e la responsabilità dello stesso.

Chiarito ciò, l’art. 11 del D.P.R. n°1124/ 65 accorda all’Inail il diritto ad agire contro i responsabili civili dell’infortunio per il recupero delle indennità corrisposte all’infortunato o agli aventi diritto, nel caso di decesso causato dall’infortunio, secondo i criteri di calcolo indicati nel successivo art. 85, specificando che gli stessi responsabili debbono versare altresì all’Istituto “la somma corrispondente al valore capitale dell’ulteriore rendita dovuta” , calcolata in base alle tabelle dei coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite di inabilità e di quelle a favore dei superstiti, previste dall’art. 39 del medesimo testo legislativo e sottoposte all’approvazione del Ministero del Lavoro, in quanto soggette a revisione contabile; infine, il medesimo art. 11 annovera, tra le somme che il responsabile civile deve restituire all’Inail anche le spese accessorie, tra cui rientra l’ assegno funerario.

E’ da ritenersi corretto il prospetto dei calcoli effettuato dall’Inail e prodotto in giudizio.

Al riguardo viene sottolineato che la rendita al coniuge superstite indennizza unicamente il danno patrimoniale sofferto dal congiunto, che è parametrato a determinati requisiti.

La deduzione della società datrice, secondo cui la quantificazione del danno sarebbe condizionata da quanto accettato in transazione dagli eredi del defunto, non può trovare accoglimento.

Difatti, l’importo accettato dagli eredi del defunto è il risultato di una libera scelta operata dagli stessi che non è opponibile all’Inail che non era parte del contratto transattivo.

Inoltre, l’Inail è stata parte civile nel procedimento penale incardinato nei confronti dei tre soci della società datrice di lavoro, ed ha partecipato ai tre gradi di giudizio definiti con condanna definitiva della Suprema Corte di Cassazione.

In tutte le sentenze si legge che la posizione del lavoratore deceduto vada assimilata a quella di un lavoratore subordinato, e tale circostanza è stata confermata anche dalla Corte di Cassazione nelle sue due pronunce (ivi compresa quella del ricorso straordinario ).

Ed ancora, in tutte le pronunce viene affermato che il concorso di colpa della vittima dell’infortunio deve essere escluso, non essendoci stato un comportamento abnorme ed imprevedibile, in quanto la vittima ha posto in essere un’operazione pienamente rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro affidatogli, solo che lo ha fatto nel modo più semplice e rapido, con una imprudenza che non gli sarebbe costata così cara se gli imputati avessero rispettato i relativi doveri.

Per tali ragioni è del tutto operativa la polizza assicurativa della Vittoria Assicurazioni stipulata in favore della società resistente.

In conclusione, il Tribunale di Ascoli Piceno, accerta e dichiara la civile responsabilità della società datrice di lavoro, in persona dei legali rappresentanti, nonché personalmente dei soci illimitatamente e solidalmente responsabili, per l’infortunio del 20/11/2007; condanna tutti i convenuti in solido tra loro, a rimborsare all’Inail la somma di euro 199.764,42 – detratta la somma di euro 20.000,00 già determinata come provvisionale dal Tribunale Penale di Fermo nella sentenza n. 261/2012 – oltre gli interessi successivi al 15.10.2018 e sino al saldo; condanna i convenuti, in solido tra loro, alla rifusione in favore della parte ricorrente delle spese di lite liquidate in euro 8.000,00 oltre accessori; accerta e dichiara l’operatività della polizza assicurativa stipulata in favore della società resistente e, per l’effetto, dichiara l’obbligo di garanzia della compagnia assicuratrice Vittoria Assicurazioni dichiarando la stessa tenuta a garantire e tenere indenne parte resistente per tutte le conseguenze pregiudizievoli – anche per spese di lite – delle domande attoree; condanna la compagnia assicuratrice Vittoria Assicurazioni alla rifusione in favore della parte resistente delle spese di lite liquidate in euro 4.050,00 oltre accessori.

Avv. Emanuela Foligno

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