Accolto il ricorso dei figli di un automobilista che aveva riportato lesioni mortali dopo che il suo veicolo era precipitato in un burrone fiancheggiante una curva priva di guardrail

“In materia di responsabilità ex art. 2051 cod. civ., la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale, sicché, ove si lamenti un danno […] derivante dalla loro assenza (o inadeguatezza), la circostanza che alla causazione dello stesso abbia contribuito la condotta colposa dell’utente della strada non è idonea ad integrare il caso fortuito, occorrendo accertare giudizialmente la resistenza che la presenza di un’adeguata barriera avrebbe potuto opporre all’urto da parte del mezzo”. Lo ha affermato la Cassazione nell’ordinanza n. 26527/2020 pronunciandosi sul caso di un veicolo precipitato in un burrone fiancheggiante una curva priva di guardrail.

Nella vicenda esaminata gli attori convenivano in giudizio il Comune per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti al decesso del padre, il quale aveva riportato lesioni mortali precipitando, con la propria auto, in un dirupo sottostante ad una strada comunale che era priva di barriere di protezione in corrispondenza di una curva ad angolo retto. I figli, nello specifico, deducevano la responsabilità della Municipalità ai sensi dell’art. 2051 c.c. o, in subordine, dell’art. 2043 c.c. e richiedevano il pagamento di poco più di 35.000,00 euro per ciascuno.

In sede di merito la pretesa veniva rigettata.

La Corte territoriale, in particolare, evidenziava come fosse del tutto plausibile ritenere che il sinistro stradale fosse dipeso da una disattenzione del conducente o da una errata manovra o da elevata velocità (la marcia inserita era folle), più che a causa della mancanza di barriere di protezione, con conseguente esclusione della responsabilità del Comune, ai sensi dell’art. 1227 c.c.; mancava, infatti, “la prova del nesso causale tra “res” custodita e danno – presupposti indefettibili di responsabilità ex art. 2051 c.c.”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte la figlia assumeva, tra le altre doglianze, che la custodia esercitata dal gestore di una strada non sia limitata alla carreggiata, ma si estenda anche alle pertinenze, comprese le eventuali barriere laterali di sicurezza, sicché poteva ben essere affermata la responsabilità per danni che conseguivano all’assenza o all’inadeguatezza di tali elementi di protezione; contestava inoltre che il danneggiante avesse assolto all’onere, sullo stesso gravante, di provare il concorso colposo della condotta della vittima.

I Giudici Ermellini hanno ritenuto di accogliere il ricorso in quanto fondato.

Nello specifico, a fronte della dedotta responsabilità ex art. 2051 c.c. dell’ente gestore della strada, la Cassazione ha chiarito che “la Corte territoriale non avrebbe potuto escludere il nesso di causalità fra la condizione della strada (e delle sue pertinenze) e la caduta del mezzo nel precipizio sul mero assunto di una condotta colposa della vittima, ma avrebbe dovuto accertare che quest’ultima presentava connotati di eccezionalità e imprevedibilità tali da determinare l’interruzione del rapporto causale fra la situazione della cosa e il sinistro”.

Il Collegio distrettuale aveva mostrato “di aderire ad una nozione di caso fortuito che lo identifica con la condotta colposa del danneggiato”. Il tutto “senza tener conto della necessità di verificare se detta condotta presentasse anche i requisiti della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del custode”.

E’ noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può escludere la responsabilità del custode solo “ove sia colposa ed imprevedibile”, ossia “quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo”, giacché l’idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente “carattere di imprevedibilità ed eccezionalità”; in tal senso, anche i più recenti arresti di legittimità, pur affermando che il comportamento del danneggiato può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire “quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”.

Ciò non significa – hanno specificato dal Palazzaccio – che, laddove non risulti idonea ad integrare il caso fortuito, la colpa della vittima non possa rivestire rilevanza ai fini risarcitori; ma ciò deve avvenire sotto il diverso profilo dell’accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile – ai sensi dell’art. 1227 c.c.- sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, 1° co. c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l’attore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (ex art. 1227, 2° co. c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un’espressa eccezione della controparte.

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