Non esiste all’interno del rapporto coniugale o paraconiugale un diritto all’amplesso, né conseguentemente il potere di imporre od esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner

Non basta evocare il clima di aperta conflittualità all’interno della coppia coniugale per elidere la connotazione molesta e persecutoria della condotta tipica che presuppone una chiara prevaricazione posta in essere dall’aggressore nei confronti della vittima all’interno del consesso familiare.

La sistematicità di tali condotte lede l’integrità psichica, prima ancora di quella fisica, del soggetto passivo traducendosi in un sistema di vita che, in ragione delle continue umiliazioni, violenze, atti offensivi della dignità e della libertà della persona e del clima di paura conseguentemente instauratosi, rende dolorosa la stessa relazione familiare.

Ebbene, tale condizione era stata compiutamente accertata dai giudici di merito nella vicenda in esame, attraverso le stesse dichiarazioni rese della persona offesa sottoposte a rigoroso vaglio di attendibilità e corroborate da riscontri esterni. Al riguardo erano state ascoltate anche la madre e la sorella della vittima e persino il medico curante che aveva riferito di essere a conoscenza del disagio famigliare e della condizione di grave prostrazione della vittima. La donna, sin dal 2010, era stata collocata insieme ai suoi due figli, all’interno di una comunità protetta su iniziativa de servizi sociali al fine di porre definitivamente termine ad ogni ulteriore protrazione dell’illecito.

Violenza sessuale “per costrizione”

Quanto alla legittimità dei rapporti sessuali col proprio partner, la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che integra il reato di cui all’art. 609-bis c.p., nella forma cd. “per costrizione” disciplinata dal primo comma, qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, ivi compresa l’intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima a subite gli atti sessuali, a nulla rilevando l’esistenza di un rapporto coniugale o paraconiugale, atteso che non esiste all’interno di detto rapporto un diritto all’amplesso, né conseguentemente il potere di imporre od esigere una prestazione sessuale senza il consenso del partner.

«Il concetto di intimidazione psicologica –hanno chiarito i giudici della Cassazione –  rimanda necessariamente al peculiare contesto spazio temporale nel quale si svolge l’azione, assumendo rilievo le contingenze specifiche che oltre a comprimere la capacità di reazione del soggetto passivo, ne limitino in concreto l’espressione di volontà: non vale ai fini del perfezionamento del delitto neppure l’espressione manifesta del consenso della vittima allorquando la sua volontà venga coartata dal timore delle conseguenze ben più pregiudizievoli che ai suoi occhi scaturirebbero dal rifiuto esplicito all’atto sessuale impostole, quale forma di violenza indiretta, dall’agente».

Ebbene, il quadro delineato nella vicenda in esame rilevava un clima caratterizzato da costante sopraffazione da parte del marito sulla moglie. Del tutto inconsistenti risultavano allora le doglianza difensive dirette a rimarcare l’implicito consenso al rapporto sessuale desumibile dalla accondiscendenza finale della donna.

La decisione

Al riguardo è stato sufficiente richiamare il principio di diritto più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non ha valore scriminante il fatto che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali e li subisca “quando è provato che l’autore, per le violenze e minacce precedenti poste ripetutamente in essere nei confronti della vittima, aveva la consapevolezza del rifiuto implicito della stessa agli atti sessuali.

Per tali motivi è stata confermata in via definitiva la condanna pronunciata dalla corte d’appello di Lecce alla pena di due anni e due mesi di reclusione a carico dell’imputato, ritenuto responsabile del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) ai danni della propria moglie e convivente.

La redazione giuridica

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