In tema di responsabilità medica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva si concretizza nella verifica dell’eziologia dell’omissione (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 5 febbraio 2025, n. 2863).
Il Tribunale di Grosseto, aderendo alle risultanze della CTU, ha ritenuto che la condotta, pur negligente, dell’operatore del 118 e del medico di guardia medica non fosse eziologicamente determinativa, secondo il criterio del “più probabile che non”, del decesso della paziente per infarto del miocardio. Di conseguenza, con sentenza del febbraio 2020, ha rigettato le pretese risarcitorie avanzate dagli attori, escludendo inoltre la possibilità di considerare il danno da perdita di chance in assenza di un’apposita domanda.
La probabilità di sopravvivenza della vittima
I CTU hanno affermato che “la sopravvivenza della signora, anche in caso di tempestivo invio di una ambulanza attrezzata con medico a bordo, in risposta alla prima telefonata, non fosse più probabile dell’ipotesi opposta, cioè che ella decedesse per la improvvisa e grave condizione morbosa”.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 28 luglio 2023, ha dichiarato cessata la materia del contendere (per intervenuta transazione) nei rispettivi rapporti di alcuni familiari e di Unipol Assicurazioni S.p.A., mentre ha rigettato nel resto le impugnazioni, confermando la pronuncia di primo grado.
Innanzitutto, i Giudici di Appello evidenziano che l’asserito errore nell’indicazione in sentenza dell’ora dell’arresto cardiaco che aveva colpito la donna (ovverosia le ore 2.30 del 3 maggio 2010 come “riportato nella relazione di intervento del 118”, in luogo delle ore 2.45, allorquando la madre “sollecitava l’invio dell’ambulanza affermando che la figlia stava male e che si era messa per terra perché gli fanno la respirazione”.
L’ora delle 2.30 riportata nella relazione di intervento del 118 significa non che a quell’ora il mezzo del 118 fosse presente sul posto, ma che a quell’ora sul posto era presente la Guardia Medica che, constatato il sopraggiungere dell’arresto cardiaco, iniziava a praticare il massaggio cardiaco, per poi riferire agli operatori del 118 l’orario in cui la paziente era andata in arresto cardiaco.
In ogni caso, hanno specificato i Giudici di merito “una diversa indicazione circa l’orario dell’arresto cardiaco, ore 02.45 anziché 2.30, viste le coerenti risultanze della CTU medicolegale, non avrebbe comunque potuto condurre il Tribunale di Grosseto ad una diversa decisione”, poiché i “CTU hanno infatti valutato cosa sarebbe stato possibile fare laddove il mezzo del 118 fosse stato inviato immediatamente, sin dal primo contatto telefonico con l’operatore del 118 avvenuto alle ore 1.27“.
La cardiopatia ischemica nelle giovani donne ha esiti letali
Inoltre i CTU hanno affermato che: “Da un canto la repentina evoluzione del quadro clinico suggerisce una gravità della lesione anatomica sottostante, dall’altro la letteratura scientifica – analizzata alla luce della competenza specifica del cardiologo –, indicano che la probabilità di sopravvivere a un arresto cardiaco da malattia coronarica sono limitate, anche in ospedale e quindi in ambiente attrezzato per un intervento di emergenza tecnologicamente adeguato. Come ampiamente riportato in precedenza la cardiopatia ischemica nelle giovani donne risulta avere una prognosi particolarmente grave, probabilmente poiché la rapida compromissione della circolazione coronarica impedisce la formazione di un valido circolo collaterale, oltre a favorire una elevata suscettibilità del cuore all’insulto anossico, con aritmia mal dominabile e letale”.
È agevolmente comprensibile il ragionamento svolto dai CTU, ovvero che “sulla scorta dei dati della letteratura scientifica nonché dell’esperienza personale dello specialista in cardiologia che ha affiancato il medico legale nella valutazione, non può ritenersi con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica che la condotta del sanitario sia stata condizione necessaria dell’evento infausto, tenuto conto che nel caso di specie vi fu una evoluzione della patologia così rapida da lasciar intendere una lesione coronarica particolarmente grave”.
Il vaglio di rigetto della Corte di Cassazione
Il ricorrente sostiene che l’affermazione del Giudice di appello, riguardo all’orario dell’arresto cardiaco collocato alle ore 2.30 sia “palesemente frutto di errore materiale”, poiché la relazione del 118 “viene redatta da un sanitario dell’ambulanza…, che attesta quanto avvenuto in sua presenza e non circostanze riferite da altri”, essendo, quindi, la “data e l’ora indicate nell’epigrafe della relazione… evidentemente la data e ora di arrivo sul posto”.
Si tratterebbe, sempre secondo la tesi del ricorrente, di errore su circostanze decisive, giacché “se un’ambulanza con medico a bordo, attrezzata per le emergenze cardiache, fosse stata inviata alla prima telefonata, con urgenza e codice rosso, sarebbe potuta arrivare sul posto con oltre un’ora di anticipo, rispetto all’orario effettivo di arrivo” (cioè, le ore 2.53 e non le ore 2.30) e questo “avrebbe probabilmente evitato l’arresto cardiaco, perché il medico a bordo avrebbe potuto stabilizzare la donna prima che il grave evento si verificasse. In ogni caso, se anche si fosse verificato l’arresto, la presenza del medico in ambulanza attrezzata avrebbe potuto porvi rimedio.”
Accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva
La doglianza investe i contenuti della relazione redatta da un operatore del servizio di emergenza medica “118 non è volta a denunciare effettivamente un c.d. “travisamento della prova”.
I Giudici di appello hanno effettuato un apprezzamento, attribuendo ai dati così come emergenti ex actis un determinato significato e, dunque, operando una evidente valutazione probatoria, che, seppure si fosse palesata (in via di mera ipotesi) erronea, non avrebbe comunque potuto configurare il vizio denunciato dal ricorrente.
La ratio decidendi della decisione di appello dà evidenza al fatto che, seppure fosse stato un intervento medico tempestivo, alle ore 1.27 del 3 maggio 2010, lo stesso – valutato alla luce delle risultanze della CTU – non avrebbe sortito una diversa decisione. Invece, questa ratio, parte ricorrente la contrasta tramite una lettura delle emergenze probatorie orientata ad un esito ad essa favorevole, così da sostituirsi, inammissibilmente, ad una valutazione unicamente rimessa al Giudice del merito.
L’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva
Ebbene, in materia di responsabilità per attività medica, l’accertamento del nesso causale in caso di diagnosi tardiva – da compiersi secondo la regola del “più probabile che non” ovvero della “evidenza del probabile” – si concretizza nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che il sanitario avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire, o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concrete, degli elementi di conferma nell’esclusione di quelli alternativi.
A tali principi si è correttamente attenuta la Corte di appello dando contezza della insussistenza del nesso causale tra la condotta, pur negligente, degli operatori sanitari e il decesso della donna, facendo leva sulle conclusioni della CTU.
Gli Ermellini rigettano il ricorso.
Avv. Emanuela Foligno