Diagnosi tardiva di infezione da leptospirosi e decesso del paziente (Cassazione civile,  sez. III, 07/11/2023, n.31008).

Viene citata dinanzi al Tribunale di Cassino la ASL per vederla condannata al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del paziente per la diagnosi tardiva di un’infezione da leptospirosi.  

Il Tribunale rigettava la domanda; successivamente la Corte di Appello di Roma confermava tale decisione. I congiunti del paziente propongono ricorso per Cassazione.

Il ricorso in Cassazione

Con il primo motivo denunciano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, per violazione del contraddittorio, determinata dalla mancata comunicazione ad uno degli intervenienti dell’ordinanza resa fuori udienza con la quale il Tribunale aveva rinviato la causa ad udienza di precisazione delle conclusioni, alla quale il suddetto, dunque, non poté prendere parte, restandogli, altresì, di conseguenza impedito il deposito di note conclusive.

La Corte d’Appello, invece, riteneva la insussistenza di una lesione del diritto di difesa, non avendo gli appellanti precisato quale specifica attività difensiva sia stata preclusa alla parte pretermessa.

La censura è inammissibile per difetto di interesse. Le Sezioni Unite hanno enunciato il principio secondo cui “la parte che proponga l’impugnazione della sentenza d’appello deducendo la nullità della medesima per non aver avuto la possibilità di esporre le proprie difese conclusive ovvero per replicare alla comparsa conclusionale avversaria non ha alcun onere di indicare in concreto quali argomentazioni sarebbe stato necessario addurre in prospettiva di una diversa soluzione del merito della controversia“.

Il nesso causale tra infezione e decesso

Con il secondo motivo lamentano la esclusione del nesso causale tra la condotta dei sanitari ed il decesso del paziente per infezione da leptospirosi asserendo che la terapia corretta sarebbe stata inutile anche se somministrata tempestivamente a paziente affetto da malattia (sindrome di Weil) con prognosi infausta sin dall’esordio della patologia.
I Giudici di appello, cadendo in contraddizione, da un lato affermano che la terapia antibiotica è efficace se somministrata entro 4 giorni dall’esordio della malattia, dall’altro che essa sarebbe stata comunque inutile se praticata anticipatamente in quanto, somministrata solo qualche ora dopo il quarto giorno, era risultata inefficace. Rilevano che, dalla acquisita cartella clinica emergeva che la terapia è stata somministrata dopo cinque giorni dell’esordio della malattia e non “solo qualche ora dopo il quarto giorno”. Censurano, infine, come erroneo e illogicamente motivato il rigetto della richiesta di C.T.U..

La doglianza viene considerata inammissibile in quanto tutte le considerazioni critiche non consentono di comprendere quale sia lo specifico vizio dedotto.

Il nesso causale tra la infezione da leptospirosi e il decesso del paziente è stato negato da entrambi i Giudici di merito sulla base del rilievo, desunto dalle concordi valutazioni rassegnate dal perito nominato dal Giudice penale nel separato procedimento e dal C.T.U. nominato nel giudizio civile di primo grado, secondo cui la particolare gravità e virulenza della infezione batterica contratta avrebbe, con probabilità prevalente rispetto alla opposta prognosi postuma, comunque condotto a morte il paziente anche se la terapia antibiotica fosse stata iniziata entro i primi quattro giorni dalla prima manifestazione dei sintomi. Le critiche svolte dai ricorrenti nei confronti di tale valutazione non evidenziano una erronea applicazione dei principi causali.

La diagnosi tardiva

Riguardo l’accertamento del nesso causale, il vizio di violazione di legge è deducibile ove si faccia valere l’erronea applicazione delle coordinate normative circa la causalità, mentre ricade nella mera critica della valutazione di merito ogni contestazione che, senza coinvolgere i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p., investa l’esito di quella valutazione in ragione di una diversa ricostruzione del fatto, o di un diverso apprezzamento dell’efficacia delle singole cause concorrenti.

In caso di omessa, o tardiva, diagnosi l’accertamento del nesso causale si sostanzia nella verifica dell’eziologia dell’omissione, per cui occorre stabilire se il comportamento doveroso che il sanitario avrebbe dovuto tenere sarebbe stato in grado di impedire o meno, l’evento lesivo, tenuto conto di tutte le risultanze del caso concreto nella loro irripetibile singolarità.

Per tali ragioni il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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