L’onere probatorio del nesso causale nell’ambito della responsabilità medica

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La Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 5922 del 5 marzo 2024, ricapitola in maniera particolarmente efficace la disciplina probatoria del nesso di causa in tema di responsabilità contrattuale sanitaria.

In particolare rileva che il nesso di causa non integra una mera circostanza di fatto, oggetto di una semplice proposizione descrittiva, costituendo invece un concetto relazionale, che esprime la relazione tra due eventi diretta ad identificare l’uno come conseguenza dell’altro. Si tratta quindi di una proposizione espressiva (un giudizio), che presuppone, da un lato, un’attività teoretico-dogmatica generale di ricostruzione in astratto del concetto sostanziale di causalità e, dall’altro, una verifica probatoria di accertamento concreto. La Corte specifica che: “mentre la prima attività si avvale delle cc.dd. regole di struttura, ancorate ai classici criteri della condizione necessaria, della causalità adeguata, dello scopo della norma e del rischio specifico (per la causalità materiale) e di quello della consequenzialità immediata e diretta (per la causalità giuridica), la seconda attività si avvale delle cc.dd. regole di funzione o probatorie, vale a dire dei criteri inferenziali per l’accertamento, in concreto, del rapporto di causalità (sia materiale che giuridico) con riguardo ad una specifica fattispecie processualmente dedotta“.

La preponderanza dell’evidenza e il “più probabile che non

Nell’ambito civile vige, per l’accertamento della causalità, la regola della preponderanza dell’evidenza (nel caso in cui sullo stesso evento si pongano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa) o “del più probabile che non” (nel caso in cui, sempre sullo stesso evento, si pongano diverse ipotesi alternative). La Corte rappresenta i due procedimenti, rilevando che: “nel primo caso (regola del “più probabile che non” propriamente detto), il giudice del merito formula il giudizio se una certa condotta – attiva od omissiva – possa essere considerata causa di un evento dannoso sul rilievo che le probabilità che tale evento sia la conseguenza di quella condotta risultano maggiori delle probabilità che non lo sia; nel secondo caso (c.d. “criterio della prevalenza relativa“), il giudice formula il giudizio se la probabilità che una certa condotta sia la causa di un evento dannoso prevalga sulla probabilità che lo siano tutte le altre cause alternative o le possibili concause teoricamente esistenti. In particolare, qualora l’evento dannoso sia ipoteticamente riconducibile ad una pluralità di cause, in applicazione progressiva dei due criteri, il giudice di merito è tenuto, dapprima, a eliminare, dal novero delle ipotesi valutabili, quelle meno probabili (senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili, attesa l’impredicabilità di un’aritmetica dei valori probatori), poi ad analizzare le rimanenti ipotesi ritenute più probabili e, infine, a scegliere tra esse quella che abbia ricevuto, secondo un ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma dagli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la veste di probabilità prevalente“.

Onere probatorio di paziente e medico

Così il giudice, per validare l’applicazione di entrambi i criteri, deve tenere conto: “nell’esercizio del potere di libero apprezzamento, della qualità, quantità, attendibilità e coerenza delle prove disponibili (ovverosia delle prove dichiarative, documentali e presuntive dedotte dalla parte a ciò onerata, nonché delle risultanze dell’indagine tecnica eventualmente disposta ed espletata), traendo dalla complessiva valutazione di esse – oltre alla determinazione del grado di conferma necessario o sufficiente per ritenere provati gli enunciati fattuali allegati – il giudizio probabilistico sulla relazione di causalità.

Se l’esistenza del nesso di causa (come peraltro della fonte del credito) grava sul paziente, che deve infatti provare, nei termini sopra descritti, che la condotta del professionista è stata la causa del danno lamentato, è onere del medico (struttura) dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza, e dunque oggettivamente non imputabile all’agente.

Nel caso specifico, posto alla valutazione della Corte, il paziente aveva domandato l’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento (con manovra di anestesia spinale) che egli assumeva svolto in maniera errata, allegando che, in seguito all’erronea introduzione dell’ago nella cavità spinale, questo aveva subìto una deviazione, provocandogli dolore e non ottenendo il risultato anestetico, tanto che l’anestesista aveva dovuto estrarlo e riposizionarlo più in alto, non senza confessare il proprio errore all’infermiera che lo assisteva. La Corte di Appello aveva rigettato la richiesta lamentando la mancata dimostrazione dell’inadempimento del medico da parte del paziente.

Differenti compiti probatori in campo

La Corte di Cassazione specifica correttamente i differenti compiti probatori in campo. Il paziente era onerato di introdurre mezzi di prova, anche di natura presuntiva, al fine di accertare il nesso di causalità materiale intercorrente tra l’allegata condotta del medico e l’evento dannoso, rappresentato dal documentato aggravamento della patologia degenerativa preesistente, esitato nella paralisi del nervo ascellare destro e dell’emidiaframma sinistro, diagnosticatagli circa due mesi dopo l’intervento chirurgico. Mentre non era onerato di provare la sua allegazione circa la condotta negligente ed imperita dell’anestesista, spettando invece all’Azienda convenuta, previa contestazione di tale allegazione, l’opposto onere di provare che, al contrario, la prestazione sanitaria era stata eseguita con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, oppure che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) fosse dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa non imputabile.

Si legge infatti nella sentenza: “la Corte d’appello, disattendendo completamente gli illustrati principi – e sulla base di una indebita confusione tra i due elementi del fatto di inadempimento e del nesso causale tra lo stesso e l’evento di danno – ha rigettato la domanda risarcitoria sul rilievo che egli non aveva fornito la prova (asseritamente raggiungibile attraverso la deduzione di appositi capitoli testimoniali e l’escussione su di essi dell’infermiera presente all’intervento) dell’allegata condotta imperita del medico anestesista e dell’”effettività” dello stress algico conseguentemente subito dal paziente“. Inoltre si afferma che: “la Corte territoriale, lungi dal sanzionare legittimamente l’inosservanza dell’onere probatorio del paziente di provare il nesso causale, lo ha – illegittimamente – ritenuto gravato del distinto e ulteriore onere di provare l’inadempimento della struttura sanitaria, omettendo di considerare che non spettava all’attore-appellato dimostrare l’allegato errore del medico, ma spettava alla convenuta-appellante dimostrarne l’esatto adempimento, provando, in ossequio al parametro della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., che la manovra anestesiologica era stata eseguita in modo corretto, nel pieno rispetto delle regole tecniche proprie della professione esercitata“.

L’accertamento del nesso causale materiale

L’accertata violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio ovviamente si riverbera negativamente anche in ordine al procedimento di accertamento del nesso causale materiale. Ed invero la Corte rileva che: “il giudice del merito, al fine di accertare la relazione causale (o concausale, avuto riguardo alla preesistente patologia discale cervicale) tra il documentato evento dannoso neurologico e ortopedico esitato in paralisi nervosa ascellare e diaframmatica e l’allegata condotta inadempiente dell’anestesista (consistita nell’estrazione dell’ago e nel suo corretto riposizionamento dopo una prima erronea introduzione con deviazione laterale dolorosa), avrebbe dovuto formulare il giudizio probabilistico tenendo conto, oltre che dell’allegazione dell’attore (salvo che, in contrario, la convenuta avesse offerto la prova del proprio esatto adempimento), degli elementi di prova documentali da esso forniti (diretti ad evidenziare la vicinanza cronologica tra l’intervento anestesiologico e le sopravvenute problematiche ortopediche e neurologiche, riscontrate nelle successive visite mediche), nonché, soprattutto, delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, il quale – stando alla stessa sentenza impugnata – aveva individuato la manovra di anestesia “come possibile fattore favorente l’irritazione radicolare”, da cui poi sarebbe potuta derivare “la sofferenza nervosa del nervo circonflesso destro e frenico sinistro; ed aveva evidenziato che, se le circostanze di fatto fossero state effettivamente verificate, da un punto di vista anestesiologico sarebbe potuta venire in considerazione, “con elevata probabilità”, una “deviazione laterale nella progressione dell’ago da anestesia sub aracnoidea con contatto della punta sulle superfici articolari laterali”, capace di evocare “vivo dolore con reazione in estensione del tronco e del collo”, con intensità tale da poter ben indurre, se non una nuova erniazione, l’aggravamento della patologia preesistente, “con flogosi locale e conseguenti disturbi neurologici più accentuati“.

Il giudice di merito non aveva in alcun modo svolto la valutazione probabilistica della sussistenza del nesso causale, in base di tutti gli elementi a sua disposizione, limitandosi invece ad evidenziare erroneamente l’omessa deduzione di prove dichiarative e la mancanza di prove documentali in relazione a quanto accaduto nel corso della manovra anestesiologica e stigmatizzando la mancata dimostrazione da parte dell’attore di una circostanza di fatto che, in quanto da lui debitamente allegata, esorbitava dal suo onere probatorio per rientrare nel contrario onere spettante alla convenuta.

Avv. Massimo Palisi

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