Accesso negato in ospedale e la neonata muore, ma non c’è nesso causale

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pronto soccorso

Accesso negato in ospedale per una neonata in gravi condizioni che viene respinta da un presidio ospedaliero ancora chiuso e trasferita in un secondo ospedale, dove morirà poco dopo. I genitori avviano una lunga battaglia legale contro le strutture sanitarie e la pediatra curante, ma ogni grado di giudizio – fino alla Cassazione – esclude il nesso causale tra le condotte contestate e il decesso (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 30 maggio 2025, n. 14594).

L’accesso negato in ospedale e il decesso della neonata

La neonata, in un primo momento venne trasportata in gravi condizioni di salute al pronto soccorso, tra le ore 05:45 e le ore 06:00 e, in un secondo momento, dopo l’accesso negato in ospedale, il primo presidio ospedaliero, in quanto l’orario di apertura era dalle ore 08:00 alle ore 20:00, veniva condotta presso l’Ospedale di Albano alle ore 07:05, dove fu sottoposta a monitoraggio delle funzioni vitali e intubata per la ventilazione assistita con manovra rianimatoria.
Tali trattamenti non andarono a buon fine e la piccola moriva per un arresto cardiocircolatorio, per insufficienza respiratoria acuta in lattante con broncopolmonite a focolai multipli del polmone destro. La neonata riportava aree di ascessualizzazione, associata a polmonite interstiziale bilaterale, con incerti aspetti di infezione da parvovirus b12, ipertrofia del miocardio ventricolare sx, edema cerebrale, congestione passiva epatica e surrenale.

Allegazioni dei genitori e responsabilità sanitaria

Secondo i genitori della piccola, le strutture convenute sarebbero responsabili per avere rifiutato il ricovero e omesso di prestare le prime cure alla neonata (l’Ospedale) e per non avere organizzato il servizio sanitario in modo adeguato a far fronte ad emergenze (l’Azienda USL). Infine, secondo i genitori, la pediatra C.P., medico curante della piccola, sarebbe responsabile per la superficialità e la negligenza usata nella sua cura e per aver fornito ai genitori informazioni inesatte e/o incomplete riguardo ai reparti di pediatria e di pronto soccorso attivi nel territorio di Albano Laziale e dell’ASL, ai quali si sarebbero potuti rivolgere in caso di necessità.
I genitori della bambina, quindi, citano in giudizio la ASL e la pediatra C.P., al fine di farne accertare e dichiarare la responsabilità per il decesso della piccola.

Pronunce di merito nel giudizio di responsabilità

Il Tribunale di Velletri dichiara non luogo a provvedere sulla domanda attorea proposta nei confronti della pediatra per intervenuta rinuncia. Invece rigetta integralmente le pretese svolte nei confronti delle strutture sanitarie, ritenendo (in adesione alle risultanze della CTU richiesta dal PM espletata nel corso del procedimento penale apertosi a seguito del decesso della piccola) non censurabile il comportamento tenuto dai sanitari delle strutture convenute.
La Corte di Appello di Roma, espletata una seconda CTU, rigetta la domanda dei genitori della neonata, che si rivolgono alla Corte di Cassazione la quale rigetta anch’essa.

Motivi di ricorso in Cassazione: nesso causale

In sintesi ciò che viene lamentato è che la Corte romana avrebbe applicato, ai fini dell’accertamento del nesso causale, il criterio della certezza assoluta, in luogo di quello della preponderanza dell’evidenza.
In particolare, i ricorrenti censurano la contraddittorietà laddove il Giudice d’appello ha affermato che il criterio accertativo del nesso causale della condotta del sanitario sia quello del più probabile che non e quello con il quale di fatto, poi, conclude per l’applicazione dell’opposto criterio del al di là di ogni ragionevole dubbio.
La sentenza della Corte territoriale si sarebbe, secondo la tesi dei danneggiati, fondata sull’applicazione di quest’ultimo criterio accertativo del nesso causale, valevole in sede penale, ma non applicabile in sede civile, ove la ricostruzione del nesso di causalità è affidata al criterio della preponderanza dell’evidenza.

Contestazioni sulla CTU e condotta dei sanitari

Censurano, anche, l’omessa puntuale confutazione degli esiti della CTU laddove viene riscontrata la contrarietà alle linee guida, in tema di assistenza sanitaria da prestare in casi come quello che ha riguardato la piccola vittima, delle condotte dei sanitari, nonché laddove si afferma che un intervento sanitario tempestivo avrebbe evitato con maggiore probabilità la progressione della condizione clinica della neonata verso l’arresto cardiorespiratorio.
Tutte le argomentazioni sono infondate. La Corte territoriale ha dato atto, a più riprese, di applicare il criterio di accertamento del nesso di causalità della preponderanza dell’evidenza. I ricorrenti estrapolano un passaggio motivazionale in cui viene richiamato un precedente dalla giurisprudenza penale. Tale riferimento si inserisce in un contesto argomentativo più ampio, che viene lasciato soltanto sullo sfondo delle censure poste con il motivo di ricorso.

Ragionamento della Corte e confutazione della CTU

I Giudici di appello, difatti, hanno affermato: “le argomentazioni addotte dai consulenti di ufficio a sostegno delle affermazioni sopra trascritte non sono condivisibili, perché danno per acclarato che un trattamento adeguato più probabilmente che non avrebbe scongiurato l’evento morte, pur mancando documentazione in grado di obiettivare le condizioni in cui la piccola pz. giungeva all’ingresso dell’ospedale, come osservato dal consulente di parte della struttura appellata e come, in realtà, riconosciuto dagli stessi consulenti di ufficio, i quali nel proprio elaborato hanno ammesso che, pur trovandosi la lattante in condizioni di grave insufficienza respiratoria nel momento in cui giunse presso il OMISSIS, tuttavia non è facilmente distinguibile, ex post ed in assenza di dati clinici certi, se fosse in una fase di compenso o periscompenso”.

Necessità di elementi certi per il giudizio controfattuale

In un contesto del genere non è possibile ritenere accertato il nesso causale di cui si discute, alla stregua del principio affermato secondo cui: “In tema di responsabilità medica, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio”.
È evidente che il Giudice di appello ha richiamato, nel suo ragionamento, il principio enunciato da Cass. pen. n. 43459/2012, in tema di responsabilità medica, ma solo per affermare la necessità, ai fini dell’accertamento del nesso eziologico, di individuare tutti gli elementi sotto ogni profilo fattuale e scientifico che si siano inserti nella catena causale sfociata nell’evento durante tutto il decorso della malattia e non per mutuarne il criterio probabilistico sulla cui base condurre tale accertamento.

Valutazione della Corte e motivazione del rigetto

Difatti, tale passaggio motivazionale contestato si inserisce nell’ambito del ragionamento svolto dalla Corte di appello per disattendere gli esiti della CTU, per aver ritenuto provato il nesso di causalità, nonostante la carenza di documentazione che consentisse di effettuare una valutazione in ordine alla pregressa condizione clinica della neonata al momento del tentato accesso alla prima struttura ospedaliera.
Il Giudice di appello, in altri termini, contesta non il criterio accertativo del nesso di causalità, bensì la carenza di un prius ai fini dell’accertamento di tale nesso, vale a dire di elementi idonei a rappresentare la condizione in cui versava ex ante la neonata e, quindi, necessari per condurre il giudizio controfattuale strumentale a monte per accertare la presenza di un nesso di condizionamento, sul piano materiale, tra le condotte dei sanitari e il danno verificatosi.

Corretta applicazione giuridica e rigetto finale

Proprio per tale ragione è stato dato rilievo, in esplicazione della massima penalistica menzionata, alla ‘fattispecie’ originante quel principio di diritto, in cui la cassazione della decisione di merito – che aveva affermato la responsabilità dei sanitari per il reato di lesioni personali gravi per non aver rimosso, nel corso di un intervento chirurgico, una garza dall’addome del paziente – si correlava all’omesso esame delle doglianze degli appellanti relative, tra l’altro, all’assenza di dette garze presso la struttura sanitaria in cui venne eseguito l’intervento e, quindi, ad un previo elemento fattuale necessario ad innescare correttamente il giudizio controfattuale. In siffatti termini, dunque, trova effettiva espressione la ratio decidendi della sentenza impugnata in questa sede, che, pertanto, è corretta in diritto.
Infine, le argomentazioni addotte dalla Corte di appello, per motivare la scelta di discostarsi dalle conclusioni raggiunte dalla CTU, sono coerenti sotto il profilo logico, dando contezza delle ragioni esposte dai CTU e di quelle per le quali la stessa Corte di appello ha ritenuto di superarle, in armonia con i principi della materia in tema di causalità civile.
Il ricorso viene pertanto rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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