Efficacia vincolante del giudicato anche con diverso petitum

0
efficacia-vincolante-del-giudicato

Efficacia vincolante del giudicato: il giudicato ha efficacia nel successivo giudizio anche nel caso in cui il petitum di questo sia solo apparentemente diverso dal primo, se sia rimessa in discussione – tra le medesime parti – una situazione soggettiva già accertata in concreto con autorità di cosa giudicata nel primo giudizio (Corte di Cassazione, II civile, ordinanza 1° giugno 2025, n. 14742).

I fatti

La vicenda vede coinvolti un Centro Sociale di Casalpalocco e il Comune di Roma per la declaratoria di cessazione del comodato concluso con il Comune relativamente ad un appezzamento di terreno con sovrastanti due capannoni, ad un piano in prefabbricato concessi in “comodato” al Comune quali sedi scolastiche provvisorie.

Il Centro Sociale eccepisce il giudicato a seguito della sentenza n. 6762/05 della Suprema Corte di Cassazione in data 31/3/2005 che, confermando una precedente pronuncia della Corte d’Appello di Roma, aveva integralmente rigettato le medesime domande formulate dai ricorrenti, accertando, tra l’altro, l’inesistenza del dedotto contratto di comodato.

Il Tribunale di Roma rigetta tutte le domande promosse dai ricorrenti (proprietari del terreno in questione) e rigetta la domanda riconvenzionale promossa dal Centro Sociale.

La prova rigorosa della proprietà

La Corte d’Appello di Roma rigetta l’impugnazione. In primo luogo evidenzia che la “volontà di obbligarsi della P.A. non poteva desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto ad substantiam, e dunque la circostanza che il Comune di Roma avesse avuto la disponibilità dei capannoni non era idonea a surrogare l’inosservanza della forma scritta. Inoltre, premessa la qualificazione della domanda degli appellanti principali come azione di rivendica e non di restituzione, non era stata fornita la prova rigorosa della proprietà, necessaria per l’accoglimento della domanda, non avendo dimostrato di poter risalire a un acquisto a titolo originario ovvero di avere posseduto (direttamente o sommando il proprio possesso a quello della sua dante causa per effetto dell’accessione o successione del possesso ex art. 1146 c.c.) per il tempo necessario al compimento dell’usucapione.

L’acquisto a titolo contrattuale fatto valere dagli appellanti provava soltanto l’esistenza di un atto di trasmissione del diritto di cui era titolare il dante causa (deceduto nel corso del giudizio di primo grado). Mancando la prova della proprietà nei termini sopra indicati, i giudici hanno rigettato la domanda di rivendica.

L’intervento della Corte di Cassazione

In sintesi, viene dedotta violazione delle norme e dei principi in tema di onere della prova nell’azione di rivendicazione con particolare riferimento all’ipotesi in cui il convenuto in rivendica non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un Comune dante causa. Sarebbe evidente, secondo parte ricorrente, che le aree oggetto del giudizio appartenessero in origine alla Società GI s.p.a. e che, pertanto, comune fosse il dante causa nelle prospettazioni delle parti stesse e che, in ordine alla domanda di rivendica, non entrava affatto in gioco il profilo della probatio diabolica dovendosi esclusivamente verificare se il titolo di acquisto fosse “paralizzato” per essere state le aree oggetto di causa già precedentemente trasferite al Comune di Roma in forza dell’art. 3 della citata Convenzione del 1960 (come eccepito dal Comune medesimo) o, del tutto, acquisite per usucapione dal Centro Sociale.

Il contenzioso tra Comune di Roma e originario proprietario dei terreni

Nella specie non vi è stato alcun riconoscimento dell’appartenenza del bene al rivendicante e tantomeno ai suoi aventi causa. Difatti vi è stato un lungo contenzioso che ha visto contrapposto il Comune di Roma, il Centro sociale e l’originario attore di questo giudizio poi proseguito dai suoi eredi.

L’originario attore, difatti, nel 1997 aveva convenuto il Comune di Roma al fine di sentirlo condannare al rilascio dei medesimi beni rispetto ai quali ha nuovamente agito nel presente giudizio e, già in quella sede, aveva sostenuto che gli immobili, a suo tempo concessi in comodato all’ente territoriale dalla precedente proprietaria “società GI”, gli erano stati poi da quella venduti con atto pubblico del 26/1/1994.

In quel giudizio era pacifica la contestazione da parte del Comune della proprietà vantata dall’attore e con sentenza passata in giudicato si era affermato che lo stesso non aveva provato la proprietà dei beni dei quali allora chiedeva la restituzione e per i quali ha nuovamente agito in rivendica data l’accertata inesistenza o nullità del contratto di comodato nuovamente dedotto anche in questo giudizio.

In sostanza, il Comune non ha mai riconosciuto la proprietà del bene in capo alla menzionata Società GI asserita dante causa, e sin dal precedente giudizio ha sempre affermato la sua proprietà in ragione della convenzione di lottizzazione e della delibera del Consiglio Comunale n. 22 del 27/28 gennaio 1987 e della successiva deliberazione della Giunta Comunale n. 388 del 14/4/2000.

Efficacia vincolante del giudicato

Tale eccezione è del tutto fondata in quanto la domanda proposta in quel giudizio è perfettamente sovrapponibile a quella proposta dalla medesima parte nel presente giudizio. Pertanto, il passaggio in giudicato della sentenza che ha rigettato la domanda proposta dal medesimo ricorrente di restituzione dei medesimi beni per mancanza di prova della sua proprietà preclude la riproposizione della medesima domanda anche se qualificata come di rivendica, tanto più che aveva ancora una volta ad oggetto principalmente l’asserita esistenza di un contratto di comodato esistente tra il Comune e la società dante causa della parte attrice oggi ricorrente.

Infatti il mutamento della prospettazione giuridica tra due domande (che nella specie neanche sembra esserci stato), aventi alla base lo stesso fatto costitutivo della pretesa, è irrilevante ai fini della loro qualificazione in termini di diversità, con la conseguenza che è precluso al Giudice il riesame dell’identico punto di diritto già accertato e risolto in via definitiva, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo giudizio.

Efficacia vincolante del giudicato: detto in altri termini, il giudicato ha efficacia nel successivo giudizio anche nel caso in cui il petitum di questo sia solo apparentemente diverso dal primo, se sia rimessa in discussione – tra le medesime parti – una situazione soggettiva già accertata in concreto con autorità di cosa giudicata nel primo giudizio.

La Cassazione rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui