È valido anche in Italia il provvedimento con cui una donna ha adottato in Spagna la figlia della sua compagna, nata con fecondazione eterologa.
È quanto stabilito dai giudici della Corte di Appello di Milano, nella sentenza emessa lo scorso 10 dicembre 2015. Una decisione, quella dei giudici del capoluogo lombardo che fa discutere. Il Collegio giudicante, nella persona del suo presidente Dott.ssa Bianca La Monica, ha chiarito che non «è contrario all’ordine pubblico un provvedimento straniero che abbia statuito un rapporto di adozione piena tra una persona non coniugata e il figlio riconosciuto del partner, anche se dello stesso sesso». Ciò in quanto, l’interesse primario, quello che prima di tutti merita attenzione è «l’interesse superiore del minore al mantenimento della vita familiare».
Il caso riguarda due donne italiane che nel 1999 iniziavano la propria relazione. Nel 2003 una delle due, attraverso la fecondazione eterologa, dava alla luce una bambina. Dopo aver convissuto per quasi dieci anni insieme alla piccola, le due decidono di sposarsi nella penisola iberica; matrimonio celebrato con rito civile nel 2009 e nel 2010, come consentito dalla legge spagnola. L’altra donna adotta la piccola. Nel 2013 le due divorziano. E, sempre nello stesso anno, l’adottante decide di presentare istanza al Tribunale per i Minorenni di Milano, al fine di ottenere il riconoscimento agli effetti civili interni dell’ordinanza di adozione spagnola della figlia. Istanza che tuttavia, i giudici milanesi respingono.
Da qui il ricorso alla Corte d’Appello. La corte, dopo aver espresso parere sfavorevole rispetto alla domanda di trascrizione dell’atto di matrimonio e divorzio, riconosce l’efficacia dell’ordinanza spagnola di adozione e ordina la trascrizione anche in Italia. E, per l’effetto riconoscono come valido anche “l’accordo” riguardante le “condizioni relative alla responsabilità genitoriale nei confronti della figlia”, oggi dodicenne. La decisione, come osservato, scaturisce dalla valutazione operata dai giudici collegiali, per cui la minore aveva «vissuto con entrambe le donne, sin dalla nascita, per quasi dieci anni (…) che da loro era stata allevata, curata e mantenuta e che con loro aveva evidentemente costruito stabili e forti relazioni affettive ed educative».
Pertanto deve essere riconosciuto il «diritto fondamentale di continuare a godere dell’apporto materiale e effettivo delle due donne che da molti anni si sono assunte la responsabilità genitoriale nel suo interesse». E se la madre adottiva deve avere “tutti i doveri e i diritti che derivano dalla filiazione naturale”, la piccola, conclude la Corte, «può godere, con sicuro vantaggio, del sostegno materiale non solo della madre adottiva, ma anche dei parenti della stessa».
The best interest of the child o altrimenti detto, “l’interesse superiore del minore”, è questo il principio informatore della decisione in commento. In verità, si pone quale principio di riferimento per qualsiasi decisione o normativa che abbia a che fare con i fanciulli. È doveroso, infatti, che qualsiasi pronuncia giurisdizionale sia finalizzata a promuovere il benessere psicofisico del bambino di cui si tratta, nonché a privilegiare l’assetto di tutele e interessi più favorevole ad una sua crescita e maturazione sana ed equilibrata.
Questo comporta quale corollario pratico imprescindibile che tutti i diritti e i doveri degli adulti siano “plasmati” dinnanzi ad esso, con l’ulteriore e specifica conseguenza che gli stessi, trovano tutela e applicazione soltanto nel caso in cui coincidano con la protezione del minore. Qualcuno, a tal proposito, ha sostenuto che i diritti degli adulti, nel settore familiare, acquistano una portata “funzionale” alla protezione del bambino, soggetto debole della relazione e pertanto bisognoso di maggiore tutela.
A livello internazionale gli strumenti per la tutela dell’interesse superiore del minore, sono molteplici. Primo fra tutti la Convezione di New York sui diritti del fanciullo, che all’art. 3, par. 1, chiarisce che “in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale, private o pubbliche, tribunali autorità amministrative o organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione”. Alla stessa stregua, anche l’art. 24, par. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dichiara «in tutti gli atti relativi ai bambini (…) l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».
Tali strumenti, a ben vedere, non definiscono il principio del superiore interesse del minore, rimettendo alla discrezionalità dell’interprete il compito di riempirlo, di volta in volta, di significato. Non va, tuttavia, trascurato che l’espressione fu utilizzata per la prima volta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1959. In particolare, l’art. 2 della stessa statuiva che «the best interest of the chid shall be the paramount consideration», espressione che potrebbe essere così tradotta, “il superiore interesse del minore dovrebbe avere la considerazione decisiva”. Più tardi, tale espressione venne superata. Ciò accadde nel corso dei lavori preparatori per la redazione della Convenzione sui diritti del bambino del 1979. Allora si ritenne più opportuno parlare di «a primary consideration», quasi a voler dire che la posizione del minore deve trovare tutela attraverso il necessario bilanciamento di tutti gli altri interessi in gioco.
Resta, dunque, la difficoltà di dare una definizione dai contorni chiari e precisi della formula in questione e, resta il fatto che il superiore interesse del minore, in quanto molteplicità di tutele e interessi, necessita della costante ricerca di quegli equilibri, frutto della valutazione di tutte le situazioni coinvolte. Non ci si deve, allora, meravigliare dell’odierna decisione del Tribunale del capoluogo lombardo. Che abbia portata “creativa” o “innovativa”, poco importa; certo è che essa riferendosi al principio del superiore interesse del minore, ne ha evidentemente valorizzato la sua portata esplicativa, fino al punto di riconoscere efficacia ad un provvedimento straniero che abbia deciso sulla adozione omosessuale di un minore, come nel caso in esame.
Avv. Sabrina Caporale