I ricercatori hanno scoperto che i macrofagi alimentano le cellule leucemiche. Identificate alcune strategie terapeutiche innovative
Una speranza in più per chi soffre di leucemia linfatica cronica (che, nel mondo occidentale, è il più diffuso dei tumori del sangue). Merito di un gruppo di scienziati dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano che sono riusciti a dimostrare come ad alimentare le cellule leucemiche siano i macrofagi (cioè cellule del sistema immunitario che solitamente si occupano di difendere l’organismo dalle infezioni).
Con lo studio che è stato pubblicato su Cell Reports (e che è stato finanziato grazie all’Associazione italiana per la ricerca contro il cancro), è stato possibile identificare una nuova terapia che bloccherebbe proprio questa interazione cellulare.
“Bloccare queste interazioni, solo in parte bersagliate dai trattamenti convenzionali, rappresenta la chiave di volta per mettere a punto nuove terapie efficaci contro l’evoluzione del tumore”, ha spiegato Federico Caligaris-Cappio che guida l’equipe di scienziati che hanno valutato in primis proprio la capacità dei macrofagi di sostenere la crescita delle cellule di leucemia linfatica cronica: “Abbiamo studiato lo sviluppo della leucemia in vari modelli sperimentali, osservando che la malattia non progredisce o addirittura regredisce in assenza dei macrofagi”, riferisce Sabrina Bertilaccio ricercatrice al San Raffaele e professore a contratto dell’università Vita-Salute San Raffaele,.
“L’unicità dello studio sta nel potenziale traslazionale e terapeutico dei risultati ottenuti, poiché farmaci diretti contro i macrofagi sono attualmente in fase di sperimentazione clinica” ha aggiunto, invece, Giovanni Galletti, dottorando dell’università Vita-Salute San Raffaele e primo autore della pubblicazione. “L’eliminazione selettiva dei macrofagi tramite l’inibizione della molecola Csf1r, presente sulla superficie di queste cellule, è in grado di migliorare la sopravvivenza in modelli sperimentali, senza causare effetti collaterali”.
“La nostra speranza – conclude Bertilaccio – è che i pazienti affetti da malattie linfoproliferative possano beneficiare in futuro di questi nuovi approcci terapeutici”.