Per la Cassazione, in caso di analisi cliniche allarmanti, l’azienda sanitaria ha il dovere di attivarsi immediatamente al fine di consentire gli interventi terapeutici necessari per scongiurare l’evento letale

Era morto a causa di un arresto cardiaco dovuto a una iperpotassemia. L’uomo, già sofferente di varie patologie, aveva effettuato delle analisi cliniche che avevano evidenziato degli allarmanti livelli di potassio. Nonostante ciò, né il paziente né il suo medico curante erano stati tempestivamente avvisati all’esito degli esami. Il decesso era sopraggiunto tre giorni dopo.

I familiari avevano quindi agito in giudizio per ottenere dall’azienda sanitaria il risarcimento del danno patito a causa della presunta condotta omissiva della struttura. La pretesa, tuttavia, era stata respinta sia in primo grado che in appello. I Giudici del merito avevano infatti ritenuto insussistente l’obbligo di comunicazione urgente di risultati degli esami in quanto non previsto da alcuna norma.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i parenti evidenziavano la non conformità della decisione alle regole attinenti il rapporto tra azienda sanitaria e paziente. In particolare le doglianze erano incentrate sulla violazione delle norme del codice civile che disciplinano i doveri relativi all’obbligazione di cura.

La sentenza di appello, inoltre, secondo i ricorrenti, sarebbe stata contraria ai principi stabiliti dalla giurisprudenza in tema di responsabilità sanitaria. La pronuncia del Giudice sarebbe stata poi in contrasto con le norme della Costituzione su diritto alla salute e tutela dei diritti fondamentali della persona.

La Cassazione, con la sentenza n. 1251/2018, ha ritenuto di condividere le argomentazioni proposte riconoscendone la fondatezza.

Gli Ermellini, in particolare, hanno chiarito che tra paziente e struttura, anche con il solo svolgimento delle analisi, si conclude un contratto. Il cosiddetto contratto di ‘spedalità’ fa sorgere in capo all’Azienda sanitaria degli specifici doveri di protezione e assistenza nei confronti del richiedente. Tra tali doveri rientra, anche quello di attivarsi immediatamente in presenza di una evidente situazione di pericolo di vita. Ciò a prescindere dall’inesistenza di una specifica normativa in materia.

Nel caso esaminato era quindi da ritenere doverosa una tempestiva segnalazione al medico curante o allo stesso paziente. La comunicazione avrebbe infatti consentito loro di attivare gli interventi terapeutici utili e necessari a scongiurare, secondo l’id quod plerunque accidit, l’evento letale. Per i Giudici della Suprema Corte sussisteva dunque un inadempimento colpevole a carico della struttura.

Da qui la decisione di cassare la sentenza impugnato rinviando la causa al Giudice civile competente per un nuovo esame sul caso.

 

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