Anossia al momento del parto e responsabilità dell’equipe medica (Cassazione Civile, sez. III, 22/02/2022, ud. 12/01/2021, dep. 22/02/2022, n.5761).

Anossia al momento del parto e responsabilità dei sanitari è quanto dedotto dai genitori del nascituro. Uno dei Medici convenuti impugna in Cassazione la decisione della Corte d’Appello di Napoli.

Anossia al momento del parto viene contestata dai genitori in danno della Clinica privata, del Ginecologo, dell’Ostetrica,  e del Direttore Sanitario, oltre al risarcimento dei danni riportati dalla bambina a seguito della anossia al momento del parto.

La piccola riportava una paralisi cerebrale infantile ad espressione tetraparetica di tipo spastico associata ad epilessia mentale con difficoltà di tipo broncopneumonico soggette a ricorrenti complicanze, con conseguente invalidità permanente totale: ricoverata più volte nel corso degli anni in varie cliniche, subì interventi, le fu impiantata una sonda per la somministrazione del cibo, venne sottoposta senza apprezzabili esiti a diversi trattamenti riabilitativi e infine morì per arresto cardiaco conseguente ad insufficienza respiratoria acuta.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Nola dichiarava la prescrizione delle domande proposte; dichiarava la responsabilità di tutti i convenuti, condannandoli al pagamento della complessiva somma di Euro 1.828.463 Euro; ripartiva la responsabilità, nei rapporti interni, ponendola per il 60% a carico del Ginecologo e per il rimanente 40% a carico della Casa di Cura.

La Corte d’Appello di Napoli, accoglieva l’appello principale degli eredi del Direttore Sanitario e rigettava la domanda proposta dagli attori nei confronti dello stesso;  rideterminava al ribasso gli importi dovuti, condannando la Struttura, l’ostetrica e il Ginecologo in solido al pagamento della somma di Euro 563.643; per il resto conferma la sentenza impugnata.

La Corte territoriale considerava che la gestante non fu monitorata elettronicamente durante il travaglio e in sala parto e che nella cartella clinica non fosse riportato dopo la nascita l’indice di Apgar. Condivide, inoltre, le conclusioni tratte, sulla base degli accertamenti eseguiti, dalla sentenza di primo grado nel senso della esclusione che la grave patologia neurologica fosse stata causata da fattori prenatali e della attribuzione di rilevanza causale alla anossia al momento del parto, che pone in rapporto causale, sulla base della regola del più probabile che non, con la carente assistenza e la mancanza di monitoraggio con appositi macchinari, nonché con la impossibilità di eseguire una adeguata ventilazione assistita subito dopo la nascita, a cui viene aggiunto il colpevole ritardo con il quale la neonata venne trasportata, dopo il parto, presso una struttura specializzata.

Tutti i profili indicati vengono qualificati come condotte idonee a cagionare la patologia neurologica secondo il criterio del più probabile che non, in assenza di fattori di rischio che possano escludere la natura perinatale della verificatasi anossia al momento del parto.

La Corte d’Appello conferma quindi la responsabilità per il danno subito dalla neonata in capo alla struttura sanitaria, per non aver fornito un’adeguata assistenza alla partoriente e all’Ostetrica per non aver tenuto una condotta professionale diligente.

Quanto alla posizione del Ginecologo, viene attribuita rilevanza causale al ritardo con cui il medico, che era in ferie, arrivò in clinica, a parto già avvenuto, reputando, secondo il criterio del più probabile che non, che il danno non si sarebbe verificato se lo stesso fosse intervenuto in tempo e avesse rilevato attraverso il monitoraggio lo stato di sofferenza del feto e la necessità di intervenire immediatamente con un parto cesareo.

Conferma, quindi, la Corte territoriale, sia la responsabilità del Ginecologo, che la graduazione della responsabilità dal lato interno, che vede a suo carico il 60% ed il residuo 40% a carico della struttura.

Il Ginecologo in Cassazione lamenta la violazione dell’art. 1218 c.c. criticando la rilevanza data alle singole risultanze istruttorie. In definitiva, la critica si concentra sull’accertamento di fatto e sulla valutazione di merito relativa all’accertamento di fatto.

La sentenza, sulla scorta delle risultanze istruttorie, ritiene provato che il medico, Ginecologo, avesse dato la sua disponibilità ad assistere la signora anche durante il parto previa chiamata, che era stato chiamato e tuttavia si era presentato in clinica solo ad ore di distanza, a parto già terminato, ed anche che aveva indicato alla paziente di partorire in quella determinata clinica perché a quella si appoggiava per le sue attività extra ospedaliere.

Pertanto, la sentenza impugnata collega questi elementi e ne trae la conclusione che il rapporto contrattuale tra medico e paziente fosse comprensivo dell’impegno di assistenza diretta anche al parto, rispetto al quale il ricorrente è stato inadempiente, con incidenza diretta sullo svolgimento del parto e sulla salute della neonata.

Con il terzo motivo, per quanto qui di interesse, viene denunciata la violazione degli artt. 1218 e 2043 c.c.  Il ricorrente evidenzia che dalla CTU effettuata in primo grado risultò accertato che l’anossia al momento del parto spontaneo, dopo un travaglio relativamente prolungato assistito dal medico di turno della struttura sanitaria e dall’ostetrica, si verificava senza che fino a quel momento vi fossero segni di sofferenza fetale. Quindi sostiene che mancherebbe la prova del nesso causale tra il suo operato e i danni riportati dalla paziente.

Il motivo è infondato.

Sul punto la Corte d’Appello individua una serie di comportamenti e di situazioni atte ad integrare negligenza, imprudenza o imperizia, alcuni ascrivibili alla clinica e al suo personale, alcuni direttamente al Ginecologo, ed alcune circostanze di fatto che, nel loro collegamento funzionale, reputa, secondo la corretta regola di giudizio del più probabile che non, che fossero sufficienti per ritenere provata la sussistenza del nesso di causalità materiale tra l’operato dei sanitari e il verificarsi del danno, e sono, in sequenza logica, il fatto che la giovane (18 anni) puerpera non avesse avuto alcun problema durante la gravidanza, né fosse stata rilevata una sofferenza fetale negli esami compiuti a carico del feto; il fatto che il ginecologo di fiducia, la indirizzò verso una struttura privata priva delle strumentazioni adeguate idonee a rilevare con immediatezza una sofferenza fetale, e di una equipe medico-ginecologica pronta e disponibile per farsi carico di eventuali complicazioni o emergenze mediante un intervento cesareo d’urgenza, il fatto che il medico di fiducia della partoriente, pur avendo dato preventivamente la sua disponibilità, e pur essendo stato chiamato, non fu presente al parto; il fatto che non venne rilevato il battito cardiaco del feto con l’apposito macchinario, ma solo con l’auscultazione ostetrica; il fatto che non venne neppure annotato il basso livello del punteggio di Apgar, e infine il fatto che la neonata venne trasferita, dove provarono a somministrarle cure adeguate, non con assoluta immediatezza. La Corte non afferma, né è in grado di affermare con certezza se l’anossia al momento del parto sia scaturita da uno o dall’altro di questi eventi, né se le sue conseguenze così totalizzanti non si sarebbero verificate se l’uno o l’altro o tutti gli elementi citati non fossero stati presenti, e tuttavia ritiene, con valutazione in fatto adeguatamente motivata, che se tutta questa serie di inadempienze, in parte imputabili alla struttura sanitaria, in parte al ginecologo, non fosse stata posta in essere, è più probabile che non che la piccola non avrebbe riportato i danni permanenti che invece ebbe a subire.

Il ricorso viene integralmente rigettato.

§ §

La interessantissima decisione della Suprema Corte qui commentata si presenta impeccabile sotto svariati profili.

La ricostruzione del nesso causale e del principio della preponderanza dell’evidenza risulta motivata in maniera ineccepibile laddove spiega che tutte le circostanze di fatto (debitamente indicate), nel loro collegamento funzionale, secondo la corretta regola di giudizio del più probabile che non, sono sufficienti per ritenere provata la sussistenza del nesso di causalità materiale tra l’operato dei sanitari e il verificarsi del danno derivante da anossia al momento del parto.

Degna di nota, inoltre, anche la suddivisione della responsabilità nei rapporti interni tra i convenuti e significativo il peso dato alla circostanza che il Ginecologo, avesse dato la sua disponibilità ad assistere la donna anche durante il parto previa chiamata, e che si era presentato in clinica solo ad ore di distanza, a parto già terminato, ed anche che aveva indicato di partorire in quella determinata clinica perché a quella si appoggiava per le sue attività extra ospedaliere.

Avv. Emanuela Foligno

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