Dopo un ictus o un’ischemia, trattare le apnee notturne migliorerebbe notevolmente la ripresa dei pazienti colpiti. A dirlo è uno studio statunitense
Una ricerca condotta dal Regenstrief Institute and Richard L. Rouedeush VA Medical Center di Indianapolis, ha analizzato i benefici che il trattamento delle apnee notturne ha su chi è stato colpito da ischemie o ictus.
Il team coordinato da Dawn M. Bravata ha studiato 252 adulti ospedalizzati per ictus ischemico o attacco ischemico transitorio (Tia).
Tutti i pazienti coinvolti, sono stati sottoposti a un test apposito che rivelava l’incidenza di apnee notturne.
Ebbene, circa tre quarti di loro ha mostrato di soffrirne.
Il disturbo del respiro del sonno creava disagi a molti di loro. Così, a circa due terzi dei pazienti che soffrivano di apnee notturne è stato insegnato come utilizzare la macchina per la Cpap.
Dopo averli “addestrati” a utilizzarla, sono stati incoraggiati a farne uso con costanza. Il restante terzo di pazienti ha avuto la funzione di gruppo di controllo e ha ricevuto i trattamenti medici standard.
Tutti i sintomi neurologici dei pazienti, così come la loro capacità di svolgere normali attività, come la deambulazione e l’auto-cura, sono stati valutati all’inizio dello studio e tra i sei e i dodici mesi.
Al follow-up, tutti i pazienti hanno mostrato un miglioramento notevole sia dei sintomi neurologici sia dello stato funzionale.
Quanto al 59% di chi che ha usato Cpap, questa percentuale ha fatto registrare punteggi neurologici quasi normali, contro il 38% dei controlli.
Secondo gli studiosi, dunque, tutte le evidenze hanno mostrato che prima si tratta l’apnea notturna, migliori saranno i risultati.
Tuttavia, questo tipo di trattamento è difficile per un ospedale, secondo Bravata.
Il nosocomio infatti, “dovrebbe riconfigurare i servizi per quanto riguarda i disturbi del sonno”.
“Credo che lo studio dica chiaramente che i pazienti con ictus e Tia dovrebbero ricevere test diagnostici precoci con studio del sonno. Se soffrono di apnea notturna dovrebbero essere trattati prima di lasciare l’ospedale”.
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