La donna rinuncia alla propria carriera professionale per dedicarsi totalmente alla famiglia, consentendo al marito di fare carriera. Il marito si rivolge in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello di confermare l’assegno divorzile compensativo.
Il Tribunale di Milano ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio nel 2021, in particolare:
- dichiara lo scioglimento del matrimonio celebrato tra le parti.
- Dispone l’assegnazione dell’abitazione coniugale di proprietà esclusiva del marito alla moglie.
- Pone a carico del marito il pagamento di €600 mensili a titolo di mantenimento per la figlia, oltre il 50% delle spese straordinarie disciplinate come da protocollo.
- Pone a carico del marito il pagamento di € 800 mensili a titolo di assegno divorzile in favore della moglie.
La Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado e l’uomo ricorre in Cassazione.
Il ricorso in Cassazione
Viene lamentato che i Giudici di merito non avrebbero tenuto in considerazione la circostanza che esso ricorrente aveva avuto altri due figli con la nuova compagna e che non vi sia prova alcuna che la ex moglie abbia sacrificato la propria vita professionale per agevolare l’attività del marito e che la ex moglie non avrebbe provato in alcun modo il suo sacrificio o l’accordo con il marito e che non vi è il presupposto per l’assegno divorzile che è stato concesso.
La S.C. ritiene le doglianze inammissibili (Cassazione civ., sez. I, 26 agosto 2024, n. 23083).
È stato accertato che: “all’epoca delle nozze, l’uomo, medico veterinario, aveva aperto una clinica con un collega, mentre la donna – anch’essa laureata in veterinaria – aveva iniziato il praticantato in un ambulatorio” in un’altra città ma, poi, “per agevolare l’attività professionale del marito, si era trasferita, lasciando il vecchio lavoro per cercarlo, d’accordo col coniuge, in un luogo diverso dalla clinica del marito”. A quel punto, però, la donna ebbe, nel giro di pochi anni, primo e secondo figlio e, a seguito di quest’ultima nascita decise, d’accordo col marito, di “sacrificare definitivamente le proprie aspirazioni professionali per dedicarsi alla famiglia, contribuendo nei venticinque anni di vita matrimoniale a soddisfarne i bisogni con il suo lavoro di casalinga e vivendo interamente mantenuta dal marito”.
È, inoltre, emerso che “la donna ha dato un contributo economico importante alla crescita professionale del marito e al consolidamento del suo patrimonio, devolvendo i suoi risparmi per l’acquisto dell’immobile ove è ubicata la clinica del marito e rinunciando ad incassare il pagamento dei canoni di locazione maturati per ben ventidue anni, aiutandolo così ad incrementare i suoi risparmi e nulla ricevendo in cambio”.
La funzione compensativa e non assistenziale dell’assegno divorzile
Ergo, la Cassazione osserva che l’assegno divorzile spetta alla donna non in funzione assistenziale bensì in funzione perequativa-compensativa, proprio per le scelte da lei operate durante il matrimonio, avendo sacrificato la sua attività di veterinaria – iniziata solo a seguito della separazione dal marito – per dedicarsi alla cura dei figli e quindi della famiglia, permettendo quindi all’allora marito di incrementare la sua attività di veterinario con la gestione della clinica.
È corretto, pertanto, il riconoscimento da parte dei Giudici di merito dell’assegno di divorzio alla ex moglie, in funzione esclusivamente compensativa, avendo ella fornito la prova del contributo offerto alla comunione familiare, con tanto di rinuncia ad occasioni lavorative e di crescite professionale in costanza di matrimonio, e con conseguente apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex marito.
Egualmente corretta la comparazione svolta dai Giudici di merito sulla condizione di disparità reddituale e patrimoniale tra i due ex coniugi e, dunque, in un’ottica perequativa-compensativa, e non assistenziale, vi sono le condizioni per ritenere corretta la corresponsione dell’assegno divorzile all’ex moglie, anche tenuto conto che la sperequazione è dovuta anche per il contributo, non economico, da lei fornito per dedicarsi alla famiglia ed ai figli durante i venticinque anni di matrimonio.
Il principio sancito dalle Sezioni Unite
Al riguardo viene richiamato il principio sancito da S.U. 18287/2018, secondo cui: “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l‘accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno.
Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile con condanna alle spese.
Avv. Emanuela Foligno