La questione affrontata è importante perché il Giudice Tutelare, chiamato a decidere sull’amministrazione di sostegno, deve anche privilegiare il diritto di autodeterminazione della persona nelle scelte di vita personali (Cass. civ., sez. I, ord., 10 settembre 2024, n. 24251).
Il caso
A seguito dell’istanza presentata dal Servizio Sociale, con la quale veniva segnalata una donna con menomazioni fisiche e psichiche oltre che con propensione al gioco d’azzardo, il Giudice Tutelare di Alessandria disponeva l’apertura di una amministrazione di sostegno disponendo la chiusura dei conti correnti e il divieto dell’amministrata di ritirare autonomamente la posta.
Il suddetto provvedimento veniva emesso contro la volontà della donna che, nel corso del procedimento, aveva più volte espresso la sua forte opposizione affermando di essere in grado di provvedere autonomamente all’amministrazione dei propri interessi. Seguiva formale reclamo.
Il Tribunale, tuttavia, confermava il decreto evidenziando, comunque, come la donna fosse in grado di ben esprimere le proprie volontà e che la misura fosse necessaria con particolare riguardo agli aspetti di straordinaria amministrazione, ad esclusione del punto inerente il consenso ai trattamenti sanitari che veniva configurato come mera assistenza.
La donna si rivolge alla Corte di Cassazione lamentando la violazione del diritto di autodeterminazione dell’individuo e la trasformazione della misura di mera assistenza e sussidiarietà, come viene descritta quella relativa all’amministrazione di sostegno dalla normativa di riferimento, in una misura altamente afflittiva che prevedeva la quasi totale sostituzione della beneficiaria.
Il ricorso in Cassazione
La Suprema Corte accoglie le doglianze. In tema di amministrazione di sostegno, l’accertamento della sussistenza dei presupposti deve essere compiuto in maniera specifica e circostanziata sia rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario, il cui consenso o meno alla misura deve essere tenuto in debito conto qualora pervenga da persona lucida, sia rispetto all’incidenza delle stesse sulla sua capacità di provvedere ai propri interessi sia personali che patrimoniali valutando anche la possibilità che tali esigenze possano essere tutelate avvalendosi in tutto o in parte ad un sistema di deleghe o di rete familiare.
In tal senso ha esordito la Cassazione nel passare al vaglio il ricorso della donna. Il concetto espresso è di notevole importanza in quanto il Giudice di legittimità ha messo “nero su bianco” che il consenso, o dissenso, all’amministrazione deve essere tenuto in considerazione se l’amministrato è persona lucida.
Ragionando in tal senso, i poteri dell’amministratore devono essere valutati caso per caso, e devono essere direttamente proporzionati alle esigenze del beneficiario affinché l’amministrazione sia specifica per le sue esigenze e funzionale agli obiettivi individuali di tutela.
La valutazione di proporzionalità delle limitazioni imposte
Limitare la capacità del beneficiario nella misura concreta significa, infatti, non solo individuare con esattezza gli atti che il soggetto non può compiere, o non può compiere da solo, ma anche tutelare il di lui diritto ad esprimere la propria opinione nelle decisioni che lo riguardano.
Da tali principi, ribadisce la Suprema Corte, discende che “il Giudice Tutelare deve accertare caso per caso i bisogni del beneficiario, le di lui competenze e i punti deboli e solo a seguito di tale verifica deve procedere a individuare quali obiettivi la persona può raggiungere in autonomia, quali supportato dalla rete familiare o sociale, per quali invece ha necessità di assistenza e per quali debba essere sostituita”.
L’atto impugnato, invece, contiene limitazioni previste per misure ben più gravose come l’interdizione e l’inabilitazione e il Giudice Tutelare di Alessandria doveva fornire una specifica motivazione a giustificazione della limitazione all’autodeterminazione.
Il provvedimento è privo della valutazione di proporzionalità delle limitazioni imposte alla beneficiaria, rispetto agli effettivi profili di fragilità della stessa che nonostante avesse una elevata propensione al gioco delle scommesse non aveva mai contratto un debito. Il provvedimento, inoltre, è contraddittorio: da una parte viene evidenziato come la beneficiaria avesse “capacità consistenti”, dall’altro non solo il suo dissenso alla misura non veniva tenuto in debito conto, ma addirittura le veniva impedita anche la possibilità di compiere atti di ordinaria e soprattutto quotidiana amministrazione senza alcuna motivazione annessa.
La causa viene rinviata al Tribunale di Alessandria per nuovo esame.
Avv. Emanuela Foligno