In tema di amministrazione di sostegno l’accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge, in linea con le indicazioni desumibili dall’art. 12 CDPD[1] deve essere svolta in maniera compiuta e circostanziata rispetto alle condizioni del beneficiando.
La volontà di quest’ultimo non può non essere tenuta in considerazione dal giudicante qualora provenga da persona lucida ed esente da condizionamenti.
Infatti in materia l’art. 407 c. 2 c.c. prevede espressamente che il giudice debba provvedere all’audizione personale del soggetto a cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questi si trova.
Inoltre, deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.
Diversamente si porrebbe – a mente dell’ordinanza – anche una questione di rapporto fra ordinamenti laddove la normativa sovranazionale prevede esplicitamente la necessità di ascolto tanto nel procedimento amministrativo che giudiziario, fra le altre garanzie previste a livello CEDU.
Quanto sopra ha valore anche – e forse soprattutto – quando si tratta di disposizioni per il futuro ed in particolare quando l’audizione non sia stata portata a termine.
Si tratta con tutta evidenza di un adempimento essenziale della procedura da rinnovare anche quando l’ascolto e l’audizione siano già state espletate nel corso del giudizio per interdizione/inabilitazione, eventualmente convertita in ADS.
Ciò perché le norme dettate in materia di amministrazione di sostegno vanno interpretate in modo da valorizzare quelle capacità del beneficiario che non risultino compromesse dalla sua condizione, fisica o psichica (C. Cost. 114/2019; Cass. SS. UU. 21985/2021) e l’audizione deve essere attuale e deve essere rinnovata al fine di accertare le condizioni della ragazza e adottare i provvedimenti adeguati alle sue esigenze.
Sembra notorio a chi scrive come l’istituto disciplinato dalla legge (L. 6/2004 e s.m.i.) si sia negli anni sviluppato, a livello dottrinale e giurisprudenziale, con la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità – anche parziale o solo temporanea – di provvedere ai propri interessi un sistema ed uno strumento di assistenza che sacrifichi nella misura minore possibile la capacità di agire dell’interessato.
L’amministrazione di sostegno (ADS) infatti si distingue dagli altri istituti civilistici di protezione degli incapaci non già per il diverso e meno intenso livello di compromissione del beneficiando, quanto piuttosto per la maggiore flessibilità ed idoneità dello strumento di adattarsi alle esigenze della persona, in relazione anche alla riconosciuta maggiore agilità procedurale.
In ogni caso appartiene alla valutazione ed all’apprezzamento esclusivo del giudice di merito la decisione circa l’effettiva conformità delle misure adottabili con lo strumento dell’ADS rispetto alle specifiche esigenze che emergano dall’analisi del caso concreto.
Tale apprezzamento si esplica soprattutto in relazione alle attività e ai compiti che sia necessario espletare così come in relazione a gravità e durata del quadro clinico e patologico e dei conseguenti impedimenti. Sono quindi la struttura e le finalità stesse dell’istituto ad imporre, come non poteva essere altrimenti, una profondità ed un livello di ascolto cui forse il sistema giustizia non è ancora uso.
L’accertamento ed il rispetto della volontà personale devono costituire infatti il perno intorno al quale strutturare il sistema di protezione di quella specifica persona.
Questo implica l’assoluta necessità di conoscere e tenere in conto l’individuazione fatta dal beneficiando quando si tratti di scegliere la persona cui affidare il proprio supporto.
Emerge infatti dalla ordinanza in commento come il fatto materiale della scelta del soggetto da designare per la funzione di supporto che presuppone l’Amministrazione di sostegno sia centrale rispetto alle finalità dell’istituto, e particolarmente delicata.
Ove la scelta del beneficiando non sia tenuta nel debito conto o sia posta nel nulla, ciò rende il decreto di nomina annullabile, laddove la decisione sia assunta con motivazioni implausibili e, nella fattispecie concreta, senza procedere ad un ascolto diretto della persona e delle sue motivazioni.
Tuttavia l’opinione e la volontà del beneficiario potrebbero anche non essere rispondenti al suo interesse poiché non sempre i risultati dell’ascolto possono considerarsi rilevanti ai fini della decisione. Ogni singolo atto da inserire nel decreto di nomina richiederà pertanto da parte del GT, come successivamente da parte dell’amministratore di sostegno un esame completo, accurato, privo di pregiudizi, dell’esigenza e della volontà del beneficiario, del suo specifico aspetto di fragilità, del suo interesse.
Il soggetto nominato dovrà disporsi al permanente ascolto del beneficiario, pur valutando sempre autonomamente le indicazioni dallo stesso espresse, alla luce del suo miglior interesse, agendo di conseguenza e con il solo scopo di supportarne l’autodeterminazione e lo sviluppo delle capacità.
L’ordinanza in commento fa emergere alcune questioni che non risolve, ma che potrebbero essere di estrema rilevanza nella futura evoluzione dell’istituto anche nella prospettiva della sempre auspicabile ed auspicata abrogazione di interdizione ed inabilitazione.
Sappiamo come, per il caso di designazione anticipata dell’ADS, sia possibile una designazione negativa che escluda in radice tutti o alcuno dei soggetti potenzialmente nominabili; seppure tale possibilità non sia specificamente prevista per il caso di nomina diretta, è prevedibile che a seguito dell’ascolto il GT escluda i soggetti che risultino totalmente sgraditi all’amministrato, o che comunque sia tenuto a considerarne la richiesta, sul piano motivazionale.
Altra questione di estrema rilevanza che riteniamo giusto porre in questa sede è se l’ascolto sia delegabile ad ausiliari, integralmente o quantomeno parzialmente. Ove questo, come crediamo, non sia possibile, deve porsi la questione della competenza a procedere all’audizione, ovvero se sia necessaria un’integrazione nella formazione di base della magistratura che comprenda anche elementi di medicina e psicologia.
Se è vero infatti che lo sviluppo della capacità di ascolto presuppone una formazione specifica gli elementi fondamentali da tenere in conto possono individuarsi negli aspetti chiave del sostegno ai processi decisionali, quasi una road map, che sono:
- Promozione ed implementazione della self-advocacy, in particolare per le disabilità intellettive e comportamentali;
- Utilizzo di strumenti ordinari di protezione, nell’ottica del c.d. maggior interesse e dell’effettività;
- Sostegno effettivo e costante ai processi decisionali, di qualsiasi tipo;
- Selezione e formazione del personale di supporto, soprattutto nel caso di scelte endofamiliari;
- Prevenire o risolvere i conflitti reali o potenziali tra la persona tutelata e la rete o il soggetto di supporto, garantendo accessibilità e superamento delle barriere di comunicazione.
L’ascolto diretto della persona da parte del magistrato titolare del fascicolo potrà essere con certezza uno strumento per favorire l’accesso alla giustizia per le persone con disabilità ed in quest’ottica deve ribadirsi la necessità di un agire, sempre più multidisciplinare che non si limiti a delegare integralmente la gestione del giudizio a soggetti terzi, per quanto ausiliari.
Di certo non va nella direzione auspicata la previsione della nuova volontaria giurisdizione che crea un doppio binario fra Tribunali e professionisti notai, con lo scopo anche qui di deflazionare i tempi della giustizia.
Infatti è previsto dalla Riforma Cartabia che nello svolgimento di queste attività il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione”, o nel caso di beni ereditari, “presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto.
Deve considerarsi tuttavia che la norma appare eccessivamente indeterminata sotto vari profili, non si indica infatti la tipologia di provvedimento né la necessità di motivazione, lasciando ampia discrezionalità.
È prevista infatti la possibilità di impugnare ma non è specificato davanti a quale giudice si debba farlo ed in presenza di termini brevi, forse eccessivamente che, dove non osservati rompono il nesso di causalità fra l’eventuale danno e l’operato del professionista, anche in materia di responsabilità civile per provvedimenti viziati.
Peraltro la vincolatività rispetto al notaio rogante profila possibili conflitti di interesse nell’ipotesi di altri incarichi professionali eventualmente ricevuti dalle parti coinvolte.
Nulla si dice in questi casi circa l’ascolto e sulla valutazione delle relative risultanze, ovvero se lo stesso beneficiario possa adire il notaio, piuttosto che il Tribunale, ma la rottura del criterio della competenza territoriale induce a ritenere particolarmente difficoltoso l’espletamento di un tale compito da parte di un professionista che magari si trova geograficamente distante dall’amministrato.
Si tratta di un profilo di estrema rilevanza e potenzialmente molto dannoso per le persone che accedono alla Amministrazione di sostegno; esso deve tuttavia essere lasciato alla futura evoluzione dell’art. 21 sulla quale è necessario vigilare ma che consente in conclusione di spezzare una lancia in favore di una posizione – forse minoritaria – ma non certamente peregrina: quella dell’Amministratore di sostegno terzo rispetto al nucleo familiare.
Si tratta di un aspetto tuttora molto dibattuto che consentirebbe il mantenimento dei rapporti familiari nell’ambito loro proprio, senza le distorsioni e le tensioni che inevitabilmente si creano nelle discussioni patrimoniali.
Uno dei motivi che porta alla nomina di un amministratore esterno, con preferenza rispetto ai familiari, è anche solo l’esistenza del rischio di disfunzionamento della macchina rappresentativa a causa di conflitti accesi ed in considerazione dell’incidenza degli stessi sul benessere psicofisico del beneficiario, tale da poter nei casi più gravi compromettere addirittura lo stato di salute dello stesso.
La scelta dell’amministratore esterno in questi casi, quindi, rappresenta la massima espressione della tutela degli interessi, delle necessità e dei bisogni del beneficiario, in particolare nei casi in cui si decida per il binario alternativo, della volontaria giurisdizione.
[1] Nello specifico si veda la definizione recata da Legal Capacity of Persons with intellectual disabilities and persons with mental health problems FRA, 2013
Avv. Silvia Assennato