Respinto il ricorso di un lavoratore che chiedeva il riconoscimento della rendita per malattia professionale (broncopatia), che l’ausiliario del giudice aveva attribuito a causa extralavorativa

Con l’ordinanza n. 23891/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso di un cittadino che si era visto respingere, in sede di merito, la domanda per il riconoscimento della malattia professionale (broncopatia) e la costituzione della relativa rendita.

La Corte di merito, in adesione alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare officiato in giudizio, aveva escluso la natura professionale della malattia (patologia bronchiale cronica) dalla quale era affetto il ricorrente, attribuendola a causa extralavorativa (tabagismo).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’uomo deduceva che il Giudice di secondo non avesse motivato le ragioni del rinnovo dell’esame peritale, con affidamento dell’incarico a medico chirurgo non specialista nella materia e senza riferimenti alla consulenza d’ufficio di primo grado, al fine di individuarne criticità o rilievi del consulente di parte, omettendo di considerare, in motivazione, l’abitudine al tabagismo, interrotta fin dal 1983, e l’allergia al nikel solfato; lamentava, inoltre, l’inadeguata motivazione in ordine alla genesi multifattoriale della malattia denunciata, risultando violato il principio di convincente motivazione.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto di rigettare le doglianze proposte.

Il ricorrente, in sostanza, denunciava l’erroneità della consulenza tecnica d’appello alla quale la Corte di merito aveva prestato adesione, assumendo che l’ausiliare officiato in giudizio avrebbe omesso di considerare le osservazioni del consulente tecnico di parte da cui emergerebbero gli elementi in favore della qualificazione come professionale della patologia denunciata. Invero – sottolinea la Cassazione – “l’adesione prestata dalla Corte di merito alle conclusioni dell’ausiliare si risolve in giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, né il giudice del gravame, conformandosi agli esiti della consulenza tecnica in appello, è tenuto a motivare sui motivi di tale adesione se la relazione peritale è tale da confutare gli elementi di segno contrario”.

Inoltre, per la Suprema Corte, le censure svolte non si fondavano su dati concreti che evidenziassero errori scientifici o devianze dalle nozioni correnti della scienza medica sicché si risolvevano nell’inammissibile richiesta di riesame del merito;

Dal Palazzaccio hanno ricordato che “nel giudizio in materia d’invalidità il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice”.

Quanto poi al tenore della motivazione, e alle censure che prospettano anomalie motivazionali, “vale ricordare che, alla stregua del novellato art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., così come interpretato da Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014 (e numerose successive conformi), il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione dell’art. 360, n. 4 cod.proc.civ., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n.4, cod.proc.civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione”.

Né, infine, la sentenza impugnata risultava incrinata dalla denunciata violazione del principio di equivalenza causale, trattandosi di censura non conferente, per avere la Corte di merito fondato la ratio decidendi sull’origine esclusivamente extralavorativa della patologia denunciata.

La redazione giuridica

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