Caduta sulla pista da ballo (Corte Appello Venezia, sez. IV, 04/11/2022, n.2364).
Caduta sulla pista da ballo: viene riconosciuto il risarcimento del danno.
Il Tribunale di Treviso accoglieva la domanda risarcitoria per danni da cosa in custodia proposta ai sensi dell’art. 2051 c.c. nei confronti del proprietario della discoteca condannandolo a pagare all’attrice la somma complessiva di € 32.206,00.
La donna, mentre si trovava all’interno della discoteca, in compagnia di tre amici, scivolava a causa della presenza di liquidi sulla pavimentazione di una delle piste da ballo, rovinando a terra e fratturandosi il polso destro e il V metatarso del piede destro.
Il soccombente propone appello, formulando due motivi di gravame. Con il primo censura il travisamento dei fatti posto dal Tribunale alla base della sua decisione, così come ricostruiti sulla base del compendio probatorio in atti; con il secondo lamenta la errata quantificazione del danno non patrimoniale per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sostenendo, in particolare, che a fronte di una richiesta risarcitoria relativa al danno non patrimoniale quantificata dall’attrice in € 23.487,00, il Tribunale, attenendosi alle risultanze della C.T.U., si sarebbe pronunciato ultra petita nel condannare la società convenuta, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, al pagamento della maggior somma pari ad € 29.612,00;
Secondo il Collegio, il Tribunale ha fatto buon governo dei principi che regolano la valutazione e l’apprezzamento delle prove acquisite.
I tre testi oculari hanno, senza contraddizioni, perplessità o incertezze, confermato univocamente la prospettazione attorea. È pertanto confermato che la caduta sulla pista da ballo della donna sia avvenuta in corrispondenza di uno versamento di liquidi sul pavimento della pista, senza che la gestione della discoteca si fosse adoperata per segnalare la situazione di pericolo o intervenire, prontamente e senza indugi, alla sua rimozione.
Non colgono nel segno, pertanto, le argomentazioni dell’appellante secondo cui il racconto dei tre testi oculari di parte attrice sarebbe inattendibile atteso che non consta che altri avventori della discoteca siano rimasti feriti quella sera, che successivamente al sinistro non sono stati avvertiti gli addetti alla sicurezza della discoteca, che nessun’altro ha notato lo stato viscido e scivoloso della pavimentazione.
Tali argomenti, a tutto concedere, potrebbero fungere da elementi indiziari al fine di addivenire alla prova del fatto per mezzo di un ipotetico ragionamento presuntivo, ove la prova diretta mancasse; ma nel caso di specie, l’accadimento così come narrato dall’attrice è stato confermato da ben tre testi oculari, circa la cui attendibilità non sussistono ragionevoli motivi di dubbio.
Egualmente non condivisibile la censura inerente la inidoneità delle calzature indossate dalla danneggiata (sandali con tacco a zeppa), reputata non idonea al ballo.
Innanzitutto, la censura è stata sollevata tardivamente nel giudizio di primo grado, ad ogni modo, il tipo di calzatura indossata, alla luce della dinamica del sinistro, appare del tutto irrilevante, posto che l’evento è accaduto in un ordinario contesto di festa in cui ciascuno notoriamente indossa ciò che ritiene più opportuno e non nel corso di una più qualificata competizione sportiva, che avrebbe invece imposto un’accurata selezione del tipo di calzatura.
Il Tribunale, ha fatto corretta applicazione dei principi enucleati dalla Suprema Corte con riferimento alla responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c.: avendo riscontrato il nesso di causalità tra cosa in custodia e danno, ha correttamente ritenuto sussistere la responsabilità della discoteca per la caduta sulla pista patita dalla donna.
Anche la censura inerente il quantum del danno non patrimoniale riconosciuto in capo all’appellata, è infondata. La censura di ultrapetizione non sussiste atteso che il Giudice di primo grado si è scrupolosamente attenuto, con riferimento al danno biologico temporaneo e permanente, alle conclusioni della CTU, rispetto alla quale i CTP non hanno sollevato alcuna osservazione critica.
Ergo, il Tribunale non è incorso nel vizio di ultrapetizione.
La sentenza impugnata viene integralmente confermata, e l’appellante condannato al pagamento delle spese di lite.
Avv. Emanuela Foligno
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