Chirurgia plastica e adeguatezza del consenso informato (Corte Appello L’Aquila, Sentenza n. 1004/2022 pubbl. il 04/07/2022 RG n. 795/2018)

Chirurgia plastica e sua natura funzionale con riferimento alla adeguatezza del consenso informato.

La paziente impugna la sentenza del Tribunale di Pescara con la quale veniva rigettata la sua domanda di risarcimento del danno conseguente all’attività professionale di chirurgia plastica effettuata dai convenuti.

Il Tribunale fonda la sua decisione sulle risultanze della CTU espletata e sulla prevalente natura funzionale dell’attività di chirurgia plastica posta in essere dal Medico convenuto, ritenendo, sulla scorta di tale accertamento tecnico l’adeguatezza dei 2 consensi informati  rispetto all’atto medico da porre in essere e che gli esiti dell’intervento di chirurgia plastica ricostruttiva non avessero avuto come conseguenza il sorgere di lesioni nè di condizioni peggiorative, avendo l’intervento chirurgico avuto un risultato migliorativo e non residuando postumi di invalidità temporanea o permanenti in grado di incidere sulla validità psicofisica della donna.

Poneva, quindi, a carico della paziente le spese di lite nei confronti del sanitario e della casa di cura ed a carico di questi ultimi, quelle di resistenza della compagnia assicurativa chiamata in causa.

La donna censura la decisione ritenendo che il Tribunale abbia omesso la valutazione delle prove testimoniali e documentali, tra cui la CTP depositate in atti, così erroneamente considerando che l’intervento di chirurgia plastica cui si era sottoposta la appellante fosse prevalentemente funzionale e non già meramente estetico, poichè conseguiva all’eliminazione di inestetismo conseguente ad intervento chirurgico pregresso perfettamente riuscito seppur computo in urgenza.

Lamenta, inoltre, la donna la mancata considerazione del nesso eziologico tra l’intervento posto in essere e il danno a carattere psicologico evidenziato anche dalla CTP, tenuto conto della circostanza che l’intervento di chirurgia plastica era finalizzato al miglioramento degli esiti fisici del precedente intervento chirurgico.

Infine, la paziente lamenta che il Tribunale non abbia valutato le critiche mosse alla CTU anche in esito alle osservazioni del proprio CTP e che la CTU risulterebbe manchevole dal punto di vista medico -legale giacchè redatta da un chirurgo plastico che non ha attribuito rilevanza medico legale agli esiti dell’attività chirurgica, evidenziando, in ogni caso, che lo spostamento ombelicale di un centimetro rispetto alla linea mediana, costituisca un esito ben ascrivibile alla responsabilità del convenuto ed anche connesso alla mancata informazione della paziente, chiedendo il rinnovo della CTU medico legale.

Il Tribunale ha correttamente ritenuto, da un lato che le prestazioni medico – chirurgiche del convenuto non rientrassero nella chirurgia estetica, quanto piuttosto nella chirurgia plastica ricostruttiva, sulla base delle risultanze istruttorie e della documentazione in atti.

In particolare, è dirimente che l’intervento chirurgico andava qualificato come intervento di chirurgia plastica ricostruttiva finalizzato al ripristino della funzionalità più che all’estetica.

L’intervento, infatti, aveva il precipuo scopo di mitigare le tracce di un precedente intervento eseguito in urgenza, con il conseguente riposizionamento dell’ombelico che, dalle risultanze istruttorie, era collocato molto a destra della mediana dell’addome.

Si discorre, quindi,  di un intervento di chirurgia plastica ricostruttiva che non ha carattere meramente estetico, ossia solo migliorativo dell’aspetto fisico della paziente clinicamente sana, bensì funzionale in quanto connesso a mitigare gli esiti di un pregresso intervento che aveva lasciato profonde ed evidenti tracce cicatriziali, aderenze cutanee, una diversa dislocazione e forma dell’ombelico e disturbi funzionali.

Dalla cartella clinica si evince “ … cicatrice retraente con aderenze tra il piano fasciale e quello cutaneo con dislocamento del peduncolo ombelicale…….  finalità di eliminare le aderenze, rendere meno evidente la cicatrice e mitigare i fastidi funzionali conseguenti all’evidente cicatrice ed ai tessuti circostanti”.

La CTU evidenzia “all’esito dell’intervento, eseguito correttamente, con perizia, prudenza e diligenza, non determinando un maggior danno locale rispetto allo status quo ante, si evidenzia un risultato migliorativo in termini, di conformazione cicatriziale, di aderenza ai piani sottostanti e del posizionamento ombelicale”.

Ergo, il gravame della donna non apporta alcun significativo elemento in grado di inficiare la validità delle conclusioni del CTU e del Tribunale, dovendosi comunque considerare meramente eventuale il risultato estetico immaginato, non vertendosi in materia di obbligazioni di risultato.

Ed ancora, le censure a carattere tecnico contenute nelle osservazioni del CTP del 17/12/2016, hanno ricevuto adeguato riscontro da parte del CTU in sede di elaborato definitivo.

Quanto ai consensi, le due dichiarazioni sottoscritte dalla paziente circa il fatto di essere stata edotta, prima della sottoscrizione del modulo di consenso, delle circostanze rilevanti dell’intervento da parte del Medico convenuto, esclude che la stessa possa dolersi del difetto di consenso all’atto operatorio, ovvero che le potesse essere stato garantito il risultato – dalla stessa ritenuto di natura estetica – da essa atteso.

La prospettazione della parte appellante sin dall’atto introduttivo del difetto di informazione come elemento che ne avrebbe violato il diritto di autodeterminazione in ordine ad un trattamento di chirurgia plastica da essa reputato come estetico, esclude che possa darsi rilevanza al pregiudizio alla salute conseguente al difetto di informazione, mai dedotto dalla parte appellante, e, quindi, all’esistenza di un dissenso presunto all’atto operatorio.

Conseguentemente, considerato che non vi è alcun riferimento ad un qualsivoglia pregiudizio conseguente al dedotto difetto di informazione, nè tale difetto viene posto in relazione causale con un danno alla salute, ma solo alla libertà di autodeterminazione del soggetto, la domanda non può trovare accoglimento, difettando l’allegazione delle conseguenze pregiudizievoli conseguite dal difetto di informazione preoperatoria, pregiudizi diversi dal danno alla salute mai dedotto in relazione causale con la mancata informazione, quanto, piuttosto, con il solo trattamento di chirurgia plastica.

In materia di responsabilità sanitaria, l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se, nel primo caso, l’omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia “ex se” una relazione causale diretta con la compromissione dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo, invece, l’incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell’atto terapeutico correttamente eseguito è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l’allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell’onere della prova – gravante sul danneggiato – del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso.

Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all’autodeterminazione, è indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in “re ipsa”.

Per tali ragioni l’appello principale viene rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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