Compensazione delle spese: eccezione o regola?

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Il fondamento del potere del giudice di compensare le spese tra le parti anche in ipotesi diverse dalla soccombenza reciproca è stato da alcuni individuato nel principio di causalità, da altri una modalità per sanzionare condotte “abusive” prima o durante il giudizio della parte vittoriosa (Giordano).
Dopo la riforma operata dalla legge n. 263/2005 è stato imposto al giudice di motivare la scelta di compensare le spese di lite, e quindi di indicare compiutamente i giusti motivi alla base della stessa. Peraltro, con la legge n. 69/2009, il potere giudiziale di compensare le spese è stato ulteriormente limitato alle sole ipotesi in cui sussistano gravi ed eccezionali ragioni. Resta comunque fermo un rilevante potere discrezionale del giudice essendo il relativo limite individuato in clausole generali (Giordano).
Si è già detto che la possibilità di compensare le spese processuali tra le parti costituisce la più significativa eccezione nel nostro ordinamento al principio della c.d. soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c. in forza del quale la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese di lite all’altra parte.
Secondo l’orientamento tradizionale, in particolare, l’istituto si riconnette al principio di causalità, la cui applicazione comporta che sia condannata alle spese la parte che, attraverso il proprio comportamento antigiuridico, cioè posto in essere in violazione delle norme di diritto sostanziale ovvero per la realizzazione esclusiva di un proprio interesse senza che ciò fosse immediatamente determinato da una controversia attuale ha provocato la necessità del processo (Chiovenda).
All’interno di questa categoria di comportamenti antigiuridici sono state ricomprese, ad esempio, le domande di mero accertamento, di condanna in futuro o di alcune domande costitutive, proposte nell’esclusivo interesse dell’attore che non potrebbero quindi costringere l’altra parte, sebbene soccombente, a rifondere le spese del processo (Luiso).
Secondo una diversa impostazione, invece, la compensazione delle spese per giusti motivi sarebbe legata a una responsabilità di natura esclusivamente processuale della parte, ovvero, più precisamente, a una condotta processuale o pre-processuale tale da concretarne un vero e proprio abuso del processo (Cordopatri).
In verità, la questione più rilevante in materia è stata da sempre quella avente ad oggetto la necessità da parte del giudice di motivare la relativa pronuncia.
Secondo la maggior parte della dottrina, nonostante il silenzio del legislatore sul punto, la decisione di compensazione delle spese per giusti motivi va comunque specificamente motivata al fine di evitare che la discrezionalità della quale gode il giudice in materia si trasformi in un inammissibile arbitrio (Andrioli).
Inizialmente tale obbligo poteva dirsi efficacemente soddisfatto attraverso l’utilizzo di una disposizione di carattere generale, e senz’altro vincolante per i giudici di merito, come l’art. 111, sesto comma, Cost., secondo cui tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (Cass., 21 febbraio 1998, n. 1187; Cass., 27 novembre 1992, n. 12657; Cass., 21 luglio 1989, n. 3471).
Tale opinione, non è stata condivisa a pieno; al contrario essa ha ricevuto molte critiche sia in dottrina che in giurisprudenza, ove si diceva che soltanto l’utilizzo di specifiche argomentazioni avrebbe consentito un’estensione del controllo all’idoneità in astratto dei motivi posti a base della compensazione delle spese e tali da giustificarne la pronuncia (Cass., 6 settembre 1994, n. 7663; in dottrina, Vecchione, Jemolo, Pellizier, Gualandi).
Di fronte ad un simile scenario, il legislatore italiano è intervenuto ripetutamente.
Dapprima mediante l’art. 2, n. 1, lett. a) della legge 28 dicembre 2005, n. 263, che ha modificato il testo del secondo comma dell’art. 92 c.p.c., impedendo al giudice di esplicitare in motivazione i giusti motivi per la compensazione (Giordano); dal canto suo la Cassazione aveva chiarito che in tema di compensazione delle spese di lite, la deroga ai principi in tema di soccombenza nella liquidazione delle spese deve risultare giustificata da motivi che, pur se non necessariamente esplicitati, si possono desumere dalla motivazione e dalla natura della controversia, non potendosi rimettere la decisione al mero arbitrio del giudice, in aperta violazione dell’art. 24 Cost. (Cass., 31 marzo 2010, n. 7653; Cass., 26 settembre 2007, n. 20017).
Poco più tardi la legge 18 giugno 2009, n. 69 ha ancora una volta novellato il testo dell’art. 92, secondo comma c.p.c.
L’intento dell’organo legislativo questa volta, non era più rivolto a rendere più pregnante il controllo sulla congruità della motivazione della compensazione delle spese di lite, ma piuttosto quello di sostituire la vecchia clausola generale che ancorava il relativo potere alla sussistenza di “giusti motivi” alla ricorrenza, invece, di “gravi ed eccezionali ragioni” (Morlini); ciò al fine di scongiurare, da una parte, ogni intenzione meramente “abusiva” togliendo cioè alla parte soccombente ogni speranza di compensazione delle spese in caso di proposizione o prosecuzione di azioni giudiziarie pretestuose o infondate, e dall’altra parte, di ridurre gli ambiti di discrezionalità del giudice confinando il potere di compensare le spese in ambiti ristretti ed eccezionali (Scrima) e non meramente opportuni, come avveniva in passato (Sassani). Inoltre si è sottolineato che il concorrente requisito della “gravità” necessario per la compensazione delle spese di lite in presenza di eccezionali ragioni comporta che sia a tal fine richiesta una ragione effettivamente ed oggettivamente rilevante, che vada oltre una mera percezione di giustizia sociale idonea a deviare il corso della decisione sulle spese dalla regola aurea della soccombenza (Giorgietti).
Ebbene, tradizionalmente la giurisprudenza di merito – seppure con qualche dubbio che in questa sede mi si consenta di esprimere – considera “giusti motivi” il dubbio sull’esito della controversia, l’obbiettiva difficoltà delle questioni giuridiche esaminate, l’assenza di consolidati orientamenti giurisprudenziali su una determinata questione.
A tal riguardo una recente ordinanza del Tribunale di Verona (Tribunale di Verona, Sez, IV, ord. 8 maggio 2011) ha affermato che sono idonee a giustificare la sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese processuali richieste dall’art. 92 c.p.c.  le seguenti ipotesi: a) la mancata comparizione della parte resistente, a differenza della ricorrente alle due udienze celebratesi; b) l’omesso riscontro alla indicazione volta alla definizione bonaria delle controversia effettuata dal medesimo Giudice. Invero, sul punto, il Tribunale ha precisato che la decisione sulla compensazione non traeva fondamento in una stigmatizzazione della mancata adesione della resistente alla predetta indicazione giudiziale, non trattandosi invero di una proposta conciliativa, quanto all’immotivato rifiuto di prendere la stessa in considerazione, mediante l’adozione di un atteggiamento non conforme ai canoni di lealtà processuale cui ciascuna delle parti, anche quella vittoriosa, devono conformarsi prima e durante il giudizio, come evidenziato anche nelle ultime modiche legislative (Giordano).
In piena rottura con questo indirizzo ormai consolidato, la Suprema Corte di Cassazione di recente ha posto fine a tutti i dubbi affermando che, poiché in materia di spese processuali la compensazione è condizionata alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni, che il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente in motivazione, è insufficiente sia il mero richiamo alla formula generica “in considerazione delle questioni trattate”, non altrimenti specificate, ove vi sia soccombenza reciproca tra le parti (Cass., 13 luglio 2011, n. 15413), sia a motivi di equità non altrimenti determinati. (Cass., 20 ottobre 2010, n. 21521; Cass., 23 luglio 2007, n. 16205) e che contrariamente a quanto avvenuto in passato (Cassazione Civile, sez. VI, ordinanza 17/09/2015 n° 18276) non possono più considerarsi idonee a giustificare la compensazione delle spese, le ipotesi di “complessità della ricostruzione in fatto dei rapporti tra le parti” (Cass. Civ. Sez. II 30 aprile 2012 n. 6608), “particolarità del riesame giuridico in appello” (Cass. Civ. Sez. II, 14 giugno 2011, n. 13020), “valore assai esiguo della causa” (Cass. Civ. Sez. VI 10 giugno 2011 n. 12893), “per motivi di equità” non altrimenti specificati (Cass. Civ. Sez. lav. 20 ottobre 2010, n. 21521; Cass. Civ. Sez. II 27 aprile 2009, n. 9886; Cass. Civ. Sez. II 23 luglio 2007, n. 16205), “peculiarità della fattispecie” (Cass. Civ. Sez. I 30 maggio 2008, n. 14563), “fattispecie concreta nel suo complesso” (Cass. Civ. Sez. I 18 dicembre 2007, n. 26673), “per giusti  motivi” (Cass. Civ. Sez. VI 21 novembre 2013, n. 26147; Cass. Civ. Sez. II 21 marzo 2007, n. 6681; Cass. Civ. Sez. III 06 marzo 2007, n. 5108).

Avv. Sabrina Caporale

 
https://books.google.it/books?id=LIeVKeSDQH4C&pg=PA43&dq=LA+compensazione+delle+spese&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjR05PQ86fRAhVC1xQKHRSACBEQ6AEIMjAF#v=onepage&q=LA%20compensazione%20delle%20spese&f=false – p. 46

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