Per la truffa da quattro milioni di euro a danni dell’Inps condannati falsi invalidi dal Gup di Palermo
Si è conclusa la prima parte del processo con la condanna da parte del gup di Palermo Ermelinda Marfia di quattro su ventuno imputati accusati di aver truffato l’Inps dal 2003 al 2015 per un importo di quattro milioni di euro.
I quattro che hanno scelto il rito abbreviato sono Giuseppe Cinà, considerato il capo dell’organizzazione e a cui spettano cinque anni e sei mesi, Patrizia Ribaudo, condannata a due anni e mille euro di multa. La donna, prima di raccontare tutta ai carabinieri ha tentato però di approfittare della situazione cercando di estorcere del denaro agli organizzatori. Avendo affittato una casa da Cinà ha scoperto dei documenti tenuti chiusi in un armadio che certificavano la falsa invalidità. Avrebbe però ricevuto delle minacce così gravi da parte di Cinà che ha accettato di essere processata per tentata estorsione.Al gruppo sia aggiunge Giovanni Naccari a cui spettano due anni così come a Maria Vaccaro ma con la sospensione della pena.
Gli altri diciassette indagati hanno preferito il rito ordinario e compariranno davanti al giudice il prossimo 18 ottobre e in qualche modo dovranno rispondere di truffa aggravata. Giovanni e Andrea Tantillo, Nicola Cipolla, Nicoleta Carmaz, Paola Pipitone, Deborah Serpa, Vito Abbate, Alba Barcellona, Nunzio e Franca Cinà, Loreta Giammona, Francesco Longo, Maddalena Marano, Paolo Meli, Giuseppe Mignosi, Maria Modica e Antonia Seidita.
Dodici anni di truffa allo Stato (oltre che ai cittadini onesti) percependo così denaro per la falsa invalidità e anche l’accompagnamento. Un’indagine battezzata dai carabinieri “malati immaginari”. Dalle intercettazioni è emersa tutta la soddisfazione di questi individui. Giuseppe Cinà e Giovanni Tantillo, arrestati dieci anni fa con le stesse accuse, richiesta nuovamente la pensione di invalidità, commentavano “più di togliercela non possono fare… e noi la prendiamo nuovamente”. “Non voglio più lavorare, lo Stato mi deve campare, io voglio la pensione”, diceva al telefono uno degli indagati.
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