La Cassazione fa il punto sulla responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al proprio dipendente e all’eventuale condotta abnorme del lavoratore

La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 53285/2017, ha fornito dei chiarimenti circa la condotta abnorme del lavoratore e la responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio occorso al proprio dipendente.

La domanda cui hanno risposto gli Ermellini è: quand’è che la condotta abnorme del lavoratore si configura come tale?

Ebbene, per la Cassazione, la condotta del lavoratore non può considerarsi “abnorme” quando l’operazione compiuta rientra nelle sue attribuzioni. Oltre che nel segmento di lavorazione di sua competenza.

La vicenda

Nel caso di specie, la Corte d’appello di Genova aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Massa aveva condannato dei datori di lavoro di un soggetto per il reato di “lesioni personali”.

Tale reato era stato commesso in danno del medesimo.

La Corte d’appello aveva ritenuto i datori di lavoro responsabili per aver cagionato al dipendente “lesioni personali gravi consistite nella amputazione della falange distale 5^ del dito della mano sinistra, con indebolimento permanente dell’organo, determinata da una improvvisa discesa di una delle losanghe del macchinario cui era addetto in qualità di assemblatore”.

Per la Corte d’appello, l’infortunio in questione si era verificato perché i datori di lavoro non avevano provveduto “a predisporre un documento di valutazione dei rischi” e non avevano nemmeno adottato “adeguate misure tecniche e organizzative e a procedere alla formazione e informazione del lavoratore in ordine ai rischi connessi alle operazioni di smontaggio del sollevatore”.

Ma non è tutto. Il datore di lavoro non avrebbe “controllato che l’uso del macchinario fosse riservato a lavoratori dotati di informazione, formazione e addestramento adeguati”.

Ritenendo la decisione ingiusta, i datori di lavoro si sono rivolti in Cassazione, lamentando una condotto abnorme del lavoratore coinvolto.

Il dipendente, a loro avviso, si sarebbe infortunato “perché aveva eseguito una procedura di smontaggio del tutto difforme da quella prevista nei manuali”. In tal modo ponendo in essere una “condotta abnorme”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non ha accolto il loro ricorso, ritenendolo infondato.

Osservano gli Ermellini che la Corte d’appello aveva ritenuto provato che l’infortunato avesse “seguito una procedura del tutto difforme rispetto a quella evidenziata nel manuale d’uso, manutenzione e assemblamento, del quale egli aveva perfetta conoscenza”. Inoltre, tale comportamento era stato tenuto “per ridurre i tempi della procedura”, nella convinzione che nulla sarebbe accaduto.

Inoltre, dagli accertamenti era emerso “che questa era la normale prassi aziendale” per quella attività.

Ergo, non si poteva ritenere che l’infortunio si fosse verificato a causa di “una occasionale, quanto momentanea, distrazione del lavoratore, del tutto incompatibile con il tipo di intervento effettuato”.

Ancora, la Corte d’appello aveva rilevato “che il manuale esistente in azienda indicava sì la metodologia corretta per effettuare tali interventi”. Tuttavia, non specificava “quali condotte dovevano essere evitate e i rischi che si correvano ponendole in essere”.

In conclusione, per gli Ermellini, “non poteva dirsi adegutamente adempiuto l’obbligo di formazione e informazione del lavoratore, il quale, certamente esperto del ‘bene operare’ (…), non lo era del ‘male operare’”.

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