Contestazioni e critiche alla CTU

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La vicenda trae origine dalla contestata condotta tenuta dai medici dell’Ospedale di Lamezia Terme in occasione del parto cesareo che provocava alla bambina “ipoacusia sensoriale bilaterale profonda per ipossia perinatale”. La Cassazione (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 28 giugno 2024, n. 17851) richiama le Sezioni Unite del 2022 inerenti le critiche alla CTU (SS.UU. 5624/2022).

I fatti

La puerpera veniva ricoverata il 15/10/2007 e veniva monitorata fino al momento del parto avvenuto il 18/10/2007. Durante il travaglio le condizioni della donna erano peggiorate, non essendo stato possibile rinvenire il sanitario di turno, era stato contattato uno di fiducia. Questi, recatosi in nosocomio, riteneva di procedere con urgenza al parto cesareo. Venuta alla luce la figlia, a distanza di alcuni anni, però, si accertava che fosse affetta da una grave forma di “ipoacusia sensoriale bilaterale profonda per ipossia perinatale”. Secondo i genitori della bambina tale patologia sarebbe da ascriversi alle condotte omissive dei sanitari dell’Ospedale di Lamezia Terme per non avere:

  • effettuato il monitoraggio biofisico del benessere fetale.
  • Idoneamente stimato i dati biometrici relativi alla ecografia eseguita il 15 ottobre 2007 in quanto i dati trascritti, in particolare quello relativo al peso, erano notevolmente difformi da quelli risultanti al momento del parto. Difatti, in base agli indici biometrici rilevati dai sanitari, il peso del feto avrebbe dovuto essere tra i 2,9 e 3,2 chilogrammi mentre il peso alla nascita era stato di 4,160 chilogrammi.
  • Adeguatamente considerato e trattato lo stato di gestosi in cui versava la puerpera anche a causa delle gravi incompletezze della cartella clinica le quali avevano, altresì, impedito di capire realmente quando ebbe inizio lo stato fetale non rassicurante.
  • Tempestivamente diagnosticato la condizione di sordità della minore atteso che non venne effettuato alcuno screening dell’udito, esame da considerarsi ormai di routine, impedendo quindi un precoce e efficace intervento riabilitativo della minore e quindi il possibile recupero delle funzioni uditive.

La vicenda giudiziaria

La A.S.P. di Catanzaro convenuta si costituì, contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
Nello specifico, il primo Giudice accertava la responsabilità dei sanitari derivante dalle seguenti circostanze:

  • dalla presenza di due tracciati cardiotocografici tali da “elevare l’attenzione clinica” come ritenuto dal CTU.
  • Dalla sofferenza fetale riscontrata immediatamente dopo la nascita sulla base dell’Indice di Apgar.
  • Che non era stata fornita prova del grado di asfissia, posta l’assenza di ulteriori indagini (quali l’analisi emogasanalitica).
  • Che pure in presenza di una obiettiva difficoltà a porre in relazione la sordità neonatale con l’asfissia perinatale, la mancanza di fattori congeniti e di altre condizioni patologiche, consentiva di porre in relazione, in base al criterio del più probabile che non, la sordità accertata con la condotta omissiva, sostanzialmente consistita nel non aver accelerato la effettuazione del parto cesareo, fatto da cui era derivato il danno, sostanzialmente aggravato poi dall’omessa effettuazione dello screening neonatale precoce per l’ipoacusia.

Il Tribunale di Lamezia Terme, quindi, con sentenza n. 1992 del 2016 accoglieva parzialmente la domanda proposta dai genitori della bambina e condannava l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro al risarcimento dei danni cagionati liquidati in 250.040,40 euro oltre interessi e al pagamento della somma di 25.000 euro in favore di ciascuno ai genitori iure proprio, rigettando le altre domande riferite al danno patrimoniale.

La Corte d’Appello, disposto il rinnovo della CTU, con sentenza n. 901/2020, riformava la sentenza di prime cure e rigettava la domanda dei genitori della bambina, che si rivolgono alla Corte di Cassazione.

Il ricorso in Cassazione

Per quanto di rilievo, denunciano come “incomprensibile” il rigetto, da parte della Corte calabrese, della duplice eccezione di inammissibilità del gravame e della richiesta di rinnovo della CTU.
Sostengono, in primo luogo, che “lascia interdetti l’affermazione con cui si giustifica la mancata contestazione della perizia di primo grado da parte dell’ASP di Catanzaro con la circostanza che la stessa risultava assente alle udienze successive a quella di deposito dell’elaborato, come se la partecipazione alle udienze e l’osservanza dei termini giudiziari costituiscano atti facoltativi della parte la cui inosservanza resti priva di conseguenze. Non vi è dubbio, invero, che, come inutilmente dedotto in secondo grado, il gravame proposto dall’ASP si risolva nella mera critica alla CTU di primo grado (di cui ha chiesto il rinnovo)“.
Sottolineano altresì che, in primo grado, controparte non solo non ha chiesto il rinnovo della CTU, né la convocazione dell’ausiliario a chiarimenti ma, addirittura, non ha mai neanche formulato alcuna osservazione alla consulenza tecnica d’ufficio, implicitamente accettandone la conclusioni; ribadiscono che, in primo grado, l’ASP non ha formulato osservazioni né ha chiesto chiarimenti o rinnovo della CTU e ciò neanche in sede di precisazione delle conclusioni, con l’ineludibile conseguenza che lo stesso gravame fondato esclusivamente su inedite censure alla CTU è palesemente inammissibile (richiamano sul punto, Cass. 19/2/2016 n. 3330), così come tempestivamente eccepito da parte appellata all’atto della sua tempestiva costituzione in secondo grado; evidenziano che “contraddice e viola i richiamati principi anche la successiva affermazione della Corte d’appello secondo cui l’appello investe la sentenza e la lettura che in essa si è fatta della consulenza”.

Le doglianze dei genitori della vittima

I genitori della bambina lamentano ancora che non sono stati presi in considerazione:

  • la diagnosi, certa e incontrovertibile, resa dagli specialisti del Servizio di Audiologia dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma e consacrata nel certificato recante data 2/10/2009, di “ipoacusia neurosensoriale bilaterale profonda per problemi perinatali (ipossia)”.
  • Il certificato rilasciato in data 16/02/2018 proprio dall’ASP di Catanzaro, Servizio di Otorinolaringoiatria, in cui si indica espressamente quale “causa presumibile della sordità” “ipossia neonatale”.
  • La difettosa tenuta della cartella clinica.
  • La necessità del parto cesareo urgente che fu giustificata dalla sentenza impugnata in ragione della “mancata progressione del feto”… È la mancata progressione dunque… a determinare la sofferenza fetale… esso risulta effettuato per la mancata progressione del parto che ha interrotto il corso regolare del travaglio. D’altronde, la progressione del parto era stata fino a quel momento ordinaria… Quale che sia stata la causa di questa mancata progressione, la scelta del taglio cesareo appare adeguata ma soprattutto, come stigmatizzato dal CTU di questo grado, appare fondata non su una riscontrata sofferenza fetale ma espressamente…per tale mancata progressione…”.

Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che sia il CTU di primo grado, che quello di secondo grado, avevano entrambi evidenziato che i motivi della mancata progressione non erano stati rilevati.

Il giudizio della Cassazione

La Cassazione richiama le Sezioni Unite del 2022 inerenti le critiche alla CTU (SS.UU. 5624/2022) e ribadisce che le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla CTU, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni, o nuove prove, ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della CTU e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio.

Calandoci nel caso concreto, non vi è né la violazione o falsa applicazione di legge, né l’apparente motivazione che, invece, è allineata con i principi giurisprudenziali.

I Giudici di Appello non hanno omesso di esaminare fatti decisivi che, viceversa, sono stati indagati sulla base del confronto compiuto tra le risultanze delle CTU di primo e secondo grado, nonché sulla base dell’accertamento sulla insussistenza del nesso causale tra fatto (ipossia temporanea) e danno (ipoacusia bilaterale profonda).

La diagnosi di ipoacusia neurosensoriale

In merito alla diagnosi resa dagli specialisti del Servizio di Audiologia dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma (v. certificato del 2/10/2009) di “ipoacusia neurosensoriale bilaterale profonda per problemi perinatali (ipossia)” e dal certificato rilasciato in data 16/02/2018 proprio dall’A.S.P. di Catanzaro, Servizio di Otorinolaringoiatria, in cui si indica espressamente quale “causa presumibile della sordità” la “ipossia neonatale“, la Corte d’appello di Catanzaro ha ritenuto che “ l’indice di Apgar a 5 minuti, in assenza di altre analisi bioumorali e strumentali non consentisse di poter affermare la esistenza del nesso tra la transitoria ipossia alla nascita e la ipoacusia bilaterale sofferta dalla bambina, né che fosse metodologicamente accettabile un giudizio ex post sul nesso di causalità, considerando la possibile multifattorialità del danno manifestato dalla piccola”.

In particolare, la Corte territoriale ha escluso che ricorresse alcuna delle condizioni idonee a confermare che dalla sofferenza fetale fosse derivata la sordità perinatale (e cioè: l’immaturità del feto, la ventilazione artificiale, la presenza di una grave encefalopatia ipossico ischemica o l’ipertensione polmonare persistente, la sofferenza grave alla nascita).

I Giudici di Appello hanno valutato anche la lacunosità della cartella clinica. Riguardo ai tracciati del cardiotogografo, la Corte d’appello, sulla base degli accertamenti peritali compiuti, ha osservato che dalle 3.30 sino alle 6.40 del 18 ottobre 2007 la progressione del feto fu regolare e che sino alle 8.03 i parametri di benessere fetale furono anch’essi regolari. Pertanto, la scelta del parto cesareo urgente (conclusosi alle 8.52) fu giustificata dalla “mancata progressione del feto” e non fondata “su una riscontrata sofferenza fetale, ma, espressamente, secondo la diagnosi riportata in cartella con riguardo all’atto operatorio, per tale “mancata progressione”.

Ricorso rigettato.

Avv. Emanuela Foligno

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