Negligenza professionale dei medici e quantificazione del danno non patrimoniale

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Il Tribunale accoglieva la domanda di responsabilità sanitaria proposta nei confronti dei 4 Medici per negligenza professionale, condannando 3 di essi e rigettando quella nei confronti dell’ASL.

La Corte d’Appello attribuisce la responsabilità del decesso del paziente anche al quarto Medico e liquida il danno non patrimoniale nei confronti di ciascun congiunto della vittima in assenza di indicazione dei criteri utilizzati per la quantificazione del danno ai fini della cd. personalizzazione. Questo ultimo punto viene cassato dalla Suprema Corte (Cassazione Civile sez. III, 06/02/2024, n.3447).

La vicenda

Il Tribunale di Messina (sentenza n. 2366/2017), per il risarcimento dei danni subiti a seguito del decesso della congiunta (avvenuto in data 6 dicembre 1992) e asseritamente riconducibile alla negligenza professionale dei medici D., P., S. e T., operanti presso gli Ospedali di Patti e di Sant’Agata di Militello (ricompresi nelle ormai disciolte UU.SS.LL. nn. 46 e 48), rigettava la domanda avanzata nei confronti del medico T. nonché dell’Azienza U.S.L. n. 5 di Messina (oggi A.S.P. Messina). Accoglieva la domanda attorea avanzata nei confronti degli altri 3 Medici condannandoli in solido tra loro al risarcimento del danno non patrimoniale pari ad 200.000 euro in favore di ciascuno degli attori.

I Medici soccombenti propongono appello e in via incidentale si costituiscono i congiunti della vittima e il quarto Medico. Con decisione del 21/5/2020 la Corte di Appello rigettava l’eccezione di nullità della C.T.U. medicolegale. Quindi confermava la natura contrattuale della responsabilità civile dei Medici convenuti. Inoltre confermava la sussistenza della responsabilità per negligenza professionale nei confronti dei Medici D, P, S, per il decesso e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, e aderendo alle conclusioni della CTU, dichiarava la sussistenza della responsabilità anche in capo al quarto Medico, dott. T., che ricorre per la cassazione della decisione.

Il giudizio di Cassazione

Il quarto Medico giudicato responsabile dalla Corte di Appello di Messina, in sintesi, lamenta che la domanda rivolta nei suoi confronti sarebbe di natura riconvenzionale e/o trasversale, e dunque illegittima perché domanda nuova.

La S.C. dà atto che i congiunti della vittima hanno convenuto in giudizio tutti i 4 Medici che ebbero, a vario titolo, in cura la paziente deducendo la concorrente sussistenza della responsabilità. Dunque, il thema decidendum ruotava intorno alla prospettata concorrente responsabilità dei medici Di.Vi., Pi.Ga., Si.Do. e, infine, Tu.An.

Nel momento in cui il Si.Do. (con appello principale) e il Di.Vi. (con appello incidentale) hanno impugnato il capo della sentenza di primo grado nella parte in cui ha accertato l’insussistenza di qualsiasi responsabilità in capo a Tu.An. nella causazione dell’evento morte non hanno dispiegato una domanda (riconvenzionale) cd. “trasversale”, ma hanno legittimamente impugnato un capo di sentenza, rispetto al quale erano soccombenti, senza ampliare il thema decidendum cristallizzato nel giudizio di primo grado, poiché, come detto, la questione concernente la concorrente responsabilità di tutti i medici, compresa quella del Tu.An., era stata introdotta originariamente dagli attori.

Pertanto, la decisione della Corte di Messina, sul punto, è corretta.

Il ricorso incidentale del medico

Sul ricorso incidentale del Dott. P., innanzitutto la Cassazione evidenzia che la motivazione adottata dalla Corte territoriale in punto di accertamento della sua sussistenza di responsabilità integra gli estremi di una motivazione per relationem, ma non dà luogo ad una motivazione meramente apparente, giacché dà evidenza, sia pure in modo sintetico, ad un percorso logico-giuridico intelligibile e tale da rendere percepibile quale sia il fondamento della decisione.

In particolare, il Giudice di Appello ha ricostruito i fatti e le ragioni della responsabilità argomentando dalla decisione di primo grado, adesiva alle conclusioni della C.T.U. medico-legale (che ha accertato una incongrua somministrazione di liquidi da parte del dottor P., medico anestesista presso l’Ospedale di Patti, condividendone il contenuto in maniera che non può reputarsi acritica. Inoltre, in secondo grado, venivano richiamate le conclusioni della C.T.U. che ponevano in risalto la condotta negligente e imprudente dei sanitari dei due nosocomi (e, dunque, anche del dottor P.) nel prescrivere terapie “senza cercare di accertare la sede e la natura della patologia addominale presentata dalla paziente”.

Secondo il dottor P., la Corte di merito non avrebbe tenuto in considerazione le gravi condizioni preintervento della paziente:

  • il fatto della mancanza, presso il P.O. di Patti, delle apparecchiature per il rilievo dei livelli glicemici, emogasanalisi; il conseguente ritardo nella somministrazione della insulina; la conseguente mancata conoscenza da parte dell’anestesista dei livelli glicemici della paziente durante l’anestesia.

Le censure non sono ammissibili. Nell’ipotesi di “doppia conforme” il ricorso per cassazione è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

Nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità del danno da fatto illecito imputabile a più persone, il Giudice del merito può e deve pronunciarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna.

Nella specie, la Corte territoriale, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado con l’affermazione di responsabilità anche del dottor T., insieme a quella, già in precedenza accertata, degli altri medici, li ha condannati in solido tra loro, senza disporre alcuna graduazione delle rispettive colpe (anche se in pari misura) ai fini di un’azione di regresso.

Ricorso per nullità della CTU

Il ricorso incidentale del dott. D. è inerente la nullità della CTU. Il medico afferma che la Corte avrebbe erroneamente ritenuti insussistenti i presupposti per dichiarare la nullità della CTU su cui si è fondato il decisum di entrambi i giudici di merito. Ciò in quanto il contenuto di detta CTU richiamerebbe quello delle due relazioni peritali svolte in precedenza dal medesimo Consulente d’ufficio, nonostante che la prima fosse stata dichiarata dal Tribunale nulla per mancata convocazione della parte alle operazioni peritali e la seconda, pur non dichiarata formalmente nulla, non era stata tenuta in considerazione in quanto elaborata dal Consulente senza aver consentito al CTP di fiducia di esso convenuto la partecipazione alle operazioni peritali; circostanza, questa, che ha pertanto richiesto la necessità di procedere alla istruzione di una terza CTU.

Nella specie, la Corte di Messina (correttamente) ha ritenuto che non vi fossero i presupposti per la declaratoria di nullità della C.T.U. in quanto il Tribunale aveva “richiamato il C.T.U. per una relazione integrativa, instaurando in quella sede correttamente il contraddittorio” e, quindi, il Consulente aveva “analizzato nuovamente tutti i passaggi che avevano portato alla formulazione della prima consulenza confermando le conclusioni precedentemente raggiunte, integrandole relativamente ai profili d’indagine indicati dal Giudice nell’ordinanza di richiamo”.

La circostanza che il Consulente, in sede di rinnovazione abbia ribadito le conclusioni in precedenza raggiunte, non può reputarsi causa di nullità della C.T.U., giacché trattasi di esiti di un accertamento tecnico espletato nel pieno rispetto del contraddittorio.

Venendo, infine, al ricorso incidentale del dott. S., risulta fondata la censura inerente la contestazione della liquidazione del danno non patrimoniale nei confronti dei congiunti effettuata in assenza di indicazione dei criteri utilizzati per la quantificazione del danno ai fini della cd. personalizzazione.

La Corte territoriale, a fronte di questa censura sollevata in sede di gravame dal dottor S., non si è pronunciata mediante una statuizione espressa di rigetto, né, rispetto a quella censura, può dirsi formato un provvedimento di rigetto implicito. La motivazione del Giudice di Appello, infatti, si sofferma sull’accertamento della responsabilità dei Medici coinvolti nella controversia (an debeatur), non anche, però, sulla correttezza delle valutazioni effettuate dal Giudice di primo grado in sede di liquidazione equitativa del riconosciuto danno non patrimoniale (quantum debeatur).

L’omessa indicazione dei criteri per la quantificazione del danno non patrimoniale

Conclusivamente, la sentenza viene cassata in relazione alla omessa indicazione dei criteri per la quantificazione del danno non patrimoniale e decisa nel merito, senza rinvio.

Il Tribunale ha liquidato il danno non patrimoniale iure proprio patito dagli attori “per la perdita di un congiunto a seguito del fatto illecito” in base a criteri tabellari in uso presso il Tribunale di Milano, correlando congruamente la quantificazione alle circostanze del caso concreto (età della defunta 67 anni), sua posizione all’interno del nucleo familiare e relativo stato di salute (“al momento della morte … godeva apparentemente di buona salute”), qualità dei superstiti (coniuge e i due figli maggiorenni al momento del decesso)), giungendo a ritenere equo il riconoscimento, in favore di ciascun attore, la somma “tabellare”, attualizzata, di 200.000 euro e non già quella di 330.000 euro indicata dal dottor S. nell’atto di appello.

Tale danno è da qualificarsi (diversamente da quanto in punto di diritto affermato dal Tribunale, che ha operato una erronea scomposizione del pregiudizio in esame, dando rilievo solo alla componente “morale”) come danno da perdita del rapporto parentale, che è un danno unitario, sebbene composto da due profili e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale.

A fronte di ciò, la censura mossa alla decisione di primo grado – con la quale si imputa al Tribunale di aver liquidato una somma uguale per coniuge e figlie, senza considerare età e patologie affliggenti la vittima del sinistro, né l’assenza di convivenza delle figlie – si palesa in parte confliggente con la motivazione della sentenza impugnata e, comunque, generica, tale da non scalfire, in ogni caso, la valutazione equitativa tabellare operata dal primo Giudice, anche tenuto conto che il dottor S. non ha dedotto (in primo grado, né, comunque, reiterato in appello) prova contraria sui fatti alla base di detta liquidazione, siccome volta a confutare la sussistenza di effettivi rapporti di reciproco affetto e solidarietà con il congiunto, la quale è assistita da una presunzione iuris tantum, fondata sulla comune appartenenza al medesimo “nucleo familiare minimo”.

Avv. Emanuela Foligno

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