Danno da immobile in custodia e limiti della responsabilità oggettiva

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ripristino di un immobile locato

In tema di danno da immobile in custodia, la Corte di Cassazione ha ribadito i presupposti per l’applicazione dell’art. 2051 c.c., che disciplina la responsabilità oggettiva del custode (Corte di Cassazione, III civile, sentenza 6 maggio 2025, n. 11857).

Fatti della causa

La Corte d’Appello di Ancona ha escluso la responsabilità della proprietaria/committente ritenendo che il danno al fabbricato sia derivato “esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato da parte di G” e che la responsabilità della società G. non potesse trovare accoglimento “neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode”.

La proprietaria dell’immobile in questione, confinante con l’immobile di proprietà della società G, deduce che i lavori di ristrutturazione affidati alla Immobiliare S. e da questa subappaltati alla ditta A. Costruzioni, sotto la direzione dei lavori dell’Arch. L.M., iniziati mese di settembre 2011 e protrattisi sino a febbraio 2012, avevano provocato danni da infiltrazioni ammontanti a circa Euro 145.000,00, cui andavano aggiunti i danni per il mancato utilizzo dell’abitazione nel periodo estivo, quelli per i beni mobili rovinati e per le conseguenze fisiche, da stimarsi in non meno di Euro 50.000.

Nel giudizio si costituiscono tutte le parti sopra indicate, più le rispettive assicurazioni chiamate in manleva.

Responsabilità del direttore dei lavori e decisione di primo grado

In particolare, l’architetto, quale D.L., deduce che nessuna responsabilità poteva a lui imputarsi atteso che aveva seguito l’opera di ristrutturazione con competenza e diligenza, che l’immobile dell’attrice già presentava dei difetti di costruzione, risultando le murature del tutto inidonee a supportare il fabbricato e che essendo le murature dei due fabbricati autonome non sussisteva alcuno obbligo di protezione verso quello degli altri edifici confinanti.

Il Tribunale condanna l’architetto e l’impresa individuale A. Costruzioni, in solido, al risarcimento di tutti i danni subiti, liquidati in Euro 32.400,00. Rigetta la domanda proposta dall’attrice nei confronti della società G. e della Immobiliare.

La Corte di Ancona conferma il primo grado e la vicenda processuale finisce al vaglio della Corte di Cassazione.

Ricorso in Cassazione e contestazioni sulla responsabilità del committente

Secondo il ricorrente (proprietaria dell’edificio confinante), la Corte di Ancona, pur richiamando correttamente l’arresto di legittimità Cass. Sez. 3 23442/2018, avrebbe erroneamente respinto la domanda risarcitoria formulata nei confronti della società proprietaria dell’immobile interessata dai lavori di rifacimento che hanno determinato i danni a quello limitrofo della ricorrente, affermando «nel caso di specie, il danno al fabbricato dell’attrice non è derivato direttamente dalla cosa oggetto dell’appalto, ma esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato della società G, con esclusione, come affermato dal CTU, della rilevanza causale di ogni altro tipo di intervento realizzato.

Di conseguenza la responsabilità della società G non può trovare accoglimento neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode». Nello specifico, contesta la responsabilità dell’appaltatore ex art. 2043 c.c. ritenuta assorbente rispetto alla responsabilità ex art. 2051 c.c. del committente, come affermazione che non corrisponderebbe ai principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Le censure vengono integralmente rigettate.

Inquadramento delle responsabilità nella giurisprudenza della Corte

In buona sostanza, la proprietaria dell’immobile confinante asseritamente danneggiato dai lavori, pone la questione delle diverse responsabilità imputabili al proprietario di un immobile il quale abbia commissionato un appalto privato edile da cui siano derivati danni a terzi e che può rispondere sia per responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.) sia per responsabilità da custodia (art. 2051 c.c.) sia per responsabilità contrattuale per omessa verifica nel corso di esecuzione dell’opera (art. 1662 c.c.).

Ebbene, la S.C. ha già affermato che “nel caso in cui i danni siano stati causati a terzi da un’attività di esecuzione di un appalto, risponde di regola esclusivamente l’appaltatore in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l’art. 2049 c.c. al committente, fatta salva l’ipotesi in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell’attività dell’appaltatore e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo, gravanti sul committente, ipotesi nella quale è configurabile la responsabilità del committente, concorrente o esclusiva rispetto a quella dell’appaltatore” (tra le numerose, Cass. Sez. 3, 29/10/1997 n. 10652).

Responsabilità oggettiva ex art. 2051 c.c. e caso fortuito

È stato anche evidenziato che il committente dei lavori può rispondere anche ai sensi dell’art. 2051 c.c. in quanto l’appalto e l’autonomia dell’appaltatore non escludono la permanenza della qualità di custode della res da parte del committente, fatta salva l’ipotesi in cui il committente dimostri che il danno si è verificato per causa esclusiva del fatto dell’appaltatore.

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode” (Cass. S.U, 30/06/2022 n. 20943).

Le citate S.U. costituiscono l’attuale statuto della responsabilità del custode, il cui fondamento riposa, come abbiamo visto, su elementi di fatto individuati tanto in positivo – la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita, quanto in negativo (Cass. Sez. 3, 27/04/2023 n. 11152).

In tale contesto, si inserisce anche il danno da immobile in custodia, in cui il custode è chiamato a rispondere per gli eventi dannosi legati direttamente al bene custodito, a meno che non dimostri che l’evento dannoso sia derivato da causa esclusiva del fatto di terzi o da un caso fortuito.

Effetti giuridici del caso fortuito e decisione della Corte di Ancona

La Cassazione dà anche continuità all’indirizzo che “sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dal massimo organo della nomofilachia) come il caso fortuito appartenga alla categoria dei fatti giuridici e si ponga in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano come atto giuridico caratterizzato dalla colpa (art. 1227, comma 1, c.c.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sul concorso tra causa umana e causa naturale, Cass. n. 21619/2007), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode” (Cass. Sez. 3, n. 11152/2023).

Calandoci adesso nel caso concreto, la Corte di Ancona ha escluso la responsabilità della proprietaria/committente: in proposito, la Corte di secondo grado ha ritenuto «Nel caso di specie, la parte attrice o il direttore dei lavori non hanno dedotto alcuna culpa in eligendo dell’immobiliare S. e non hanno mai messo in dubbio la capacità tecnica della stessa a compiere l’opera oggetto dell’appalto, né risulta da alcun elemento processuale che la stessa si sia ingerita nell’esecuzione dell’attività di demolizione, né tanto meno ciò è stato dedotto in primo grado dall’impresa A. Costruzioni».

Conclusioni della Corte sul nesso di causalità e responsabilità effettive

In secondo luogo, la Corte d’Appello ha evidenziato che il danno al fabbricato dell’attrice “non è derivato direttamente dalla cosa oggetto dell’appalto, ma esclusivamente dall’attività di demolizione del fabbricato, con esclusione, come affermato dal CTU, della rilevanza causale di ogni altro tipo di intervento realizzato nella proprietà. Di conseguenza, la responsabilità della società G non può trovare accoglimento neppure sotto il profilo invocato della responsabilità del custode”.

Quindi, i Giudici d’Appello non hanno aprioristicamente negato l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. sul mero e unico presupposto della conclusione del contratto di appalto tra la società G e Immobiliare S., tenuto conto che la progettazione e direzione di tutti i lavori riguardanti l’edifico confinante con quello dell’attrice fosse stata affidata dalla proprietaria G.s.p.a. all’architetto direttore dei lavori e all’Impresa Immobiliare S. s.r.l. e che quest’ultima l’avesse subappaltata all’impresa A. Costruzioni proprio per l’esecuzione della demolizione del fabbricato della società G. e sempre sotto la direzione del citato architetto.

Per queste ragioni sono stati ritenuti responsabili l’architetto, sia la ditta subappaltante esecutrice dei lavori, stante che i danni riportati dal fabbricato dell’attrice furono “la conseguenza dell’inosservanza di regole di prudenza e di condotta nell’esecuzione della demolizione del fabbricato quali, come rilevato dal Consulente, la mancata protezione della parete muraria posta sul lato nord del fabbricato di proprietà dell’attrice, in modo da renderla impermeabile all’acqua piovana e la non idoneità nel caso specifico delle modalità dell’attività di demolizione che anziché essere eseguita a piccoli tratti è stata fatta in un’unica fase”.

Il danno da immobile in custodia

Pertanto, la Corte di Ancona ha ritenuto, viceversa, che il danno da immobile in custodia (in particolare, dalla demolizione del fabbricato di proprietà G effettuata dalla ditta subappaltatrice, sotto la supervisione del direttore dei lavori) consentisse di relegare al rango di mera occasione la relazione con la res, che in tal guisa veniva deprivata dalla sua efficienza di causalità materiale, senza peraltro cancellarne l’efficienza causale sul piano naturalistico (preesistenza della res e sua specifica caratterizzazione, come esattamente accaduto nel caso di specie), espressione di una condotta oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode.

Quindi la decisione di secondo grado è del tutto corretta. Il Giudice di appello ha condiviso anche il ragionamento del primo grado, e cioè, che il danno per il mancato godimento dell’immobile lamentato dall’attrice andava circoscritto al periodo estivo che «nella normalità dei casi, si identifica nei mesi di luglio e cioè che il danno fosse generico e non dimostrato.

Con riferimento all’ultimo motivo, la Corte ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti delle società G. ed S., ritenendo che non fosse dimostrata alcuna responsabilità in capo a tali soggetti, neanche a titolo di culpa in eligendo o per difetto di vigilanza.

La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso, con condanna alle spese, confermando la necessità, ai fini del riconoscimento del danno da mancato godimento di un immobile, di una prova puntuale e specifica, anche con riferimento ai periodi in cui si assume pregiudicato il godimento (nella specie, luglio e agosto), e ribadendo che la responsabilità da custodia non può estendersi automaticamente al committente se non sia provata una sua ingerenza o una specifica responsabilità.

Avv. Emanuela Foligno

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