La Corte dei Conti ha rigettato la rivalsa della struttura sanitaria sul camice bianco per danno erariale escludendo la responsabilità del medico

Ci sono voluti 33 anni ma alla fine si chiude nel migliore dei modi la vicenda giudiziaria di un ginecologo che nel 1983 prestava servizio presso un Ospedale della provincia di Bergamo, dove le complicanze insorte durante un parto portarono alla nascita di un bimbo con gravi danni cerebrali e motori permanenti, costringendolo a una vita segnata da tetraparesi spastica.

L’allora USSL della provincia di Bergamo, condannata in sede civile a versare alla famiglia del malcapitato un risarcimento pari a oltre 4 milioni di euro non potrà rivalersi sul ginecologo, né tantomeno sull’ostetrica presente all’epoca dei fatti in sala parto, che nel frattempo è deceduta uscendo quindi dal procedimento.

Lo ha stabilito nei giorni scorsi, come riportato dall’Eco di Bergamo, la Corte dei Conti della Lombardia respingendo la richiesta della procura contabile che imputava al camice bianco un danno erariale residuo di oltre 2 milioni e 800mila euro da restituire alla gestione liquidatoria della ex Ussl.

Per i giudici del Tribunale contabile, il ginecologo, accusato di negligente assistenza medica , non avrebbe alcuna responsabilità in quel parto, peraltro inizialmente privo di particolari problematiche, in quanto avendo finito il proprio orario di lavoro aveva lasciato l’Ospedale dove era in servizio un medico di turno.

La consulenza tecnica ha stabilito che l’ostetrica, al manifestarsi delle complicazioni avrebbe dovuto richiedere l’intervento del medico specialista anziché far progredire il parto rischiando, come poi avvenuto, di danneggiare il feto.

La Corte dei Conti esclude, invece, che tale richiesta di aiuto fosse in capo al ginecologo sotto processo. Nelle motivazioni della sentenza si sottolinea che “difetta tanto il nesso causale tra condotta omissiva del medico e l’evento, quanto la prova di una colpa grave specificamente imputabile al professore, il quale in quanto assente (legittimamente in assenza di prova contraria), non poteva assumere nessuna determinazione gestionale nel momento in cui il parto, in corso d’opera, si era complicato, né può essere considerato amministrativamente responsabile della negligenza del personale che gestì il parto in questione, ovvero del cattivo uso delle dotazioni umane e strumentali, esistenti, ma mal gestite nell’occasione”.

Il tutto “pur a fronte della sussistenza di una innegabile carenza ‘di apparato’ in capo all’azienda ospedaliera (tale da aver determinato in chiave civilistica la intervenuta condanna dell’ente ndr), di carenze documentali, come cartelle e dati clinici, e di una drammatica involuzione di un parto che si riteneva routinario in base al quadro clinico preesistente”.

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