Il danno ex delicto o danno da morte si sostanzia nel danno biologico-psichico sofferto dai congiunti a seguito dell’uccisione di un familiare

Quando si parla di danno ex delicto o di “danno da morte” si parla di un “danno ingiusto” e ciò obbliga chi ha commesso il fatto a un risarcimento.
Questo è quanto stabilito dall’art. 2043 del codice civile, in cui il concetto di danno è duplice.
Da un lato si parla di danno-evento, inteso come lesione della situazione giuridica protetta dall’ordinamento. Dall’altro, si tratta di danno-conseguenza come insieme dei pregiudizi originati dalla lesione medesima.
Nell’art. 185, II comma, del codice penale si legge che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale (2059), obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”.

All’interno di tale contesto normativo, come si colloca il danno ex delicto?

Quest’ultimo, pur non identificandosi con l’evento, viene costantemente qualificato dalla giurisprudenza di legittimità come conseguenza necessaria dell’evento stesso (Cassazione Sez. V, 6.12.2010, n. 43363).
Per questa ragione, il danno ex delicto, ovvero quello subito in conseguenza della uccisione di un prossimo congiunto, qualificato come danno-conseguenza di natura non patrimoniale, si sostanzia nel danno biologico-psichico autonomamente sofferto dai prossimi congiunti.

Si tratta, quindi di un danno patrimoniale e morale che questi ultimi soffrono in ragione del decesso del proprio congiunto.

Ciò implica che venga riconosciuto al reato stesso una duplice valenza offensiva, che va a ledere il bene vita della vittima e, in secondo luogo, la definitiva perdita di un rapporto di affectio familiaris.
Alla luce di quanto enunciato, occorre fornire ulteriori specifiche per quanto concerne il risarcimento dei danni per i congiunti del deceduto e per questo vi rimandiamo all’approfondimento su tale argomento dell’Avv. Giuseppe Belcastro
 
 

 

 
 
 
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