Si è trattato di un decadimento progressivo in soggetto affetto da pluripatologie e non è possibile ritenere che lo stato clinico che ha condotto al decesso sia addebitabile al pregresso carcinoma vescicale (Tribunale di Velletri, Sez. Lavoro, Sentenza n. 1435/2021 del 07/10/2021 RG n. 4237/2020)
Il coniuge superstite del lavoratore conviene a giudizio l’Inail, e allega che:
– Con sentenza n. 2912/2009 il Tribunale di Velletri dichiarava l’origine professionale della patologia di cui era risultato affetto il marito -dipendente della RAI quale pittore, decoratore e addetto alla verniciatura a spruzzo -, in particolare ” esiti di cistectomia radicale e ureterocutaneostomia trans-ileale bilaterale per carcinoma a cellule transazionali della vescica” , comportante un grado di inabilità permanente del 35% e conseguente diritto alla rendita di cui al D.lgs. n. 38/2000;
– Che il lavoratore decedeva in data 28.11.2018 in conseguenza, concausale con altre patologie, della grave patologia neoplastica, già riconosciuta come malattia professionale;
– Che l’Inail rendeva nota agli eredi dell’assicurato la facoltà di proporre domanda per ottenere l’eventuale quota di reversibilità entro il termine di 90 giorni dalla data della comunicazione stessa;
– Che quindi, sull’assunto che la predetta patologia, già considerata dall’Istituto di origine professionale, era stata poi causa del decesso, in data 28.05.2019, in qualità di coniuge -superstite, presentava domanda all’Inail per il riconoscimento del suo diritto alla relativa rendita;
– Che l’Istituto, con provvedimento del 4.10.2019, le comunicava che: “… non può essere riconosciuto il diritto alla rendita ai superstiti in quanto la morte non è riconducibile all’evento…”;
– Che presentava ricorso all’INAIL avverso il suddetto provvedimento, ma l’Istituto confermava la precedente decisione di rigetto della domanda.
L’Inail si costituisce in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.
Il Giudice, prima di affrontare il merito, dà atto che la rendita ai superstiti, prevista dall’art. 85 del TU 1124/1965, è una prestazione economica, non soggetta a tassazione IRPEF, erogata ai superstiti dei lavoratori deceduti a seguito di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale.
Decorre dal giorno successivo alla morte del lavoratore ed è erogata:
-Al coniuge: fino alla morte o a nuovo matrimonio; – Ai figli: fino al 18° anno di età, senza necessità di ulteriori requisiti; fino al 21° anno di età, se studenti di scuola media superiore o professionale, viventi a carico e senza un lavoro retribuito, per tutta la durata normale del corso di studio; non oltre il 26° anno di età, se studenti universitari, viventi a carico e senza un lavoro retribuito, per tutta la durata normale del corso di laurea; maggiorenni inabili al lavoro, finché dura l’inabilità.
In mancanza di coniuge e figli viene erogata ai genitori naturali o adottivi viventi a carico; ai fratelli e sorelle, viventi a carico e conviventi, con gli stessi requisiti previsti per i figli.
Per eventi mortali antecedenti il 1 gennaio 2014, la rendita è calcolata sulla retribuzione annua effettiva del lavoratore deceduto nel rispetto dei limiti minimo e massimo stabiliti per legge ed è soggetta a rivalutazione annuale.
L’art. 85 prevede, inoltre, il diritto per i beneficiari del pagamento dell’assegno funerario.
Ebbene, secondo l’Inail la patologia da cui era affetto il lavoratore non ne ha determinato il decesso, ricondicibile invece a un decadimento progressivo.
Il CTU ha riferito che: “a seguito dell’intervento per carcinoma della vescica del 2004, riconosciuto malattia professionale nel 2009, era portatore di urostomia, che gestiva autonomamente. Nel 2012 iniziava a perdere forza alle gambe e nel 2014 subiva un intervento di stent-arteria iliaca comune e angioplastica iliaca esterna destra. Nel 2015, veniva quindi riconosciuto invalido civile con indennità di accompagnamento e condizione di portatore di handicap grave. In data 28.12.2015 veniva ricoverato presso il Presidio Ospedaliero di Frascati a seguito di caduta con trauma cranico e, dopo il ricovero, durato circa 10 gg, non ha più ripreso a deambulare autonomamente. Nel giugno 2016 veniva ricoverato presso una RSA per circa un anno e nel luglio del 2018 veniva nuovamente ricoverato presso l’Ospedale di Frascati quindi trasferito al S. Raffaele e il 28.11.2018 decedeva……(..).. Nel verbale di Pronto Soccorso del 22.11.2018 sono presenti evidenti anomalie e contraddizioni. Ed infatti, nella diagnosi di ricovero si legge: Paziente oncologico. K vescicale; nell’anamnesi portatore di colostomia per K (che si esegue per neoplasie del colon) di cui tuttavia, a dire anche dei familiari non è mai stato affetto, mentre invece nell’esame obiettivo si legge che il paziente era portatore di urostomia per pregresso K prostatico (mentre invece si trattava di carcinoma vescicale). Nell’esame obiettivo del 23.11.2019 in cartella si legge ancora: presenza di colostomia e nell’anamnesi patologica remota Emicolectomia con colostomia, mentre nel diario infermieristico, stessa data, viene riportato portatore di urostomia. Nella scheda di morte ISTAT viene riportato K colon.”
“E’ piuttosto evidente che sia stata fatta una gran confusione diagnostica in quanto è possibile che, date le gravi condizioni che il paziente presentava al momento del ricovero, la presenza di sacca sia stata interpretata come colostomia anziché come urostomia, e di conseguenza è stata errata anche la diagnosi nella scheda ISTAT. È comunque certo che fosse presente solo una sacca, e che questa era destinata alla raccolta di urine, quindi dovuta al pregresso intervento per carcinoma vescicale. Nella documentazione clinica in atti non si evince alcun elemento che possa sostenere l’ipotesi che lo stato cachettico (ossia di grave deperimento generale) prima, e il decesso poi, siano stati espressione dell’evoluzione della patologia oncologica che ha interessato la vescica ben quattordici anni prima del decesso, in quanto non risultano essere mai state diagnosticate metastasi o altre complicanze dipendenti dalla patologia primaria, riconosciuta come malattia professionale.”
“Il decesso non sia etiologicamente riconducibile a un carcinoma della prostata o carcinoma del colon, in quanto non è mai stato affetto da tali patologie e che non sussistono neppure elementi tali che consentano di mettere il decesso in relazione al pregresso carcinoma della vescica, riconosciuto malattia professionale”.
In risposta alle note critiche del CTP, che contesta al CTU di non avere suggerito alcun elemento che giustifichi il decesso, precisa che “ciò è dovuto semplicemente al fatto che dalla documentazione clinica, confusa e insufficiente, non è desumibile la causa prima del decesso stesso.” ……..”le considerazioni del CTP circa la dipendenza dello stato cachettico dal carcinoma della vescica subito 14 anni prima non sono supportate da alcun elemento clinico obiettivo, trattandosi di mere supposizioni. Né può essere determinate il fatto che in una cartella clinica confusionaria sia stato scritto, tra l’altro, “Paziente oncologico. K vescicale” posto che il deceduto era vasculopatico, iperteso, diabetico, oltre ad avere subito un trauma cranico, e al momento del ricovero del novembre 2018 era affetto da polmonite e da squilibrio idro-elettrolitico. ..(..)..Si è trattato quindi, di un decadimento progressivo in soggetto affetto da pluripatologie ma che, purtuttavia, non è possibile ritenere che lo stato clinico che ha condotto al decesso sia direttamente addebitabile anche solo a livello di concausa al pregresso carcinoma vescicale.”
Il Giudice condivide le conclusioni del Consulente e dichiara il ricorso infondato; spese di lite irripetibili ai sensi dell’art.152 disp. att. c.p.c.: spese di CTU poste a carico dell’Inail.
Avv. Emanuela Foligno
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