Detenuto, in custodia cautelare, rimesso in libertà 65 giorni di ritardo rispetto alla scadenza dei termini di legge: pubblico ministero responsabile

Il P.G. presso la Corte di cassazione promuoveva azione disciplinare nei confronti del sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco, contestandogli l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), consistito nel non aver esercitato, nella fase delle indagini preliminari, il dovuto controllo sui termini di scadenza della misura cautelare degli arresti domiciliari così da procrastinare illegittimamente la liberazione del detenuto , rimesso in libertà con 65 giorni di ritardo rispetto alla scadenza dei suddetti termini prescritti per legge in relazione all’ipotesi di reato contestate.

Tuttavia, la Sezione disciplinare del C.S.M., con sentenza depositata il 20 dicembre 2018, assolveva l’incolpato dall’addebito ascrittogli. Non si trattava, infatti, di negligenza ma di errore scusabile poiché causato, non tanto da difetti organizzativi del suo Ufficio, bensì da un errore materiale dell’Ufficio GIP che aveva riportato nello scadenziario un termine errato.

Il pubblico ministero aveva perciò, fatto legittimo affidamento “sul normale e regolare svolgimento di compiti propri del personale di cancelleria e del colleghi dell’Ufficio GIP”.

La vicenda, giunta in Cassazione, è stata decisa dalle Sezioni Unite che tuttavia, hanno ribaltato l’esito del procedimento disciplinare.

Richiamando la giurisprudenza consolidata (sentenze nn. 8896/2017 e 4887/2019), hanno affermato che “risponde dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. g), il magistrato che, con violazione dei doveri di diligenza e con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, ometta di effettuare il doveroso controllo sulla scadenza del termine di durata della custodia cautelare”.

Al riguardo, nessun rilievo ha la circostanza che l’indagato si trovi agli arresti domiciliari, atteso che tale misura costituisce, comunque, una privazione della libertà personale equivalente alla custodia cautelare in carcere ex art. 284 c.p.p., comma 5.

I doveri del Pubblico Ministero

È stato anche, più puntualmente, affermato (v., ad es., SU n. 507/2011 e n. 18191/2013), che “il magistrato (nel caso in esame il P.M. che procede alle indagini preliminari che ancora non si siano concluse) ha l’obbligo di vigilare diuturnamente circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini; pertanto, integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile – illecito disciplinare punito dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), – il comportamento del magistrato che abbia scarcerato un indagato con notevole ritardo (nel caso che qui viene in rilievo, 65 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini di custodia cautelare (agli arresti domiciliari), senza che possa assumere rilevanza giustificante che il fatto sia ascrivibile ad una mera dimenticanza di trascrizione della data di scadenza dei termini nello scadenzario personale, o che il giudice sia stato sottoposto, in quello stesso periodo, ad un gravoso carico di lavoro e vi abbia fatto fronte, dimostrando notevole produttività, nonostante la sussistenza di difficoltà familiari e personali, non versandosi in una delle ipotesi di assoluta inesigibilità o di sussistenza di causa eccezionale impeditive dell’osservanza del suddetto specifico dovere prescritto per garantire il rispetto del diritto assoluto della libertà personale dell’indagato”

Nessuna scusa dunque, per il pubblico ministero che aveva un preciso ed inderogabile obbligo: quello di seguire in modo diretto ed autonomo la sequenza dello svolgimento dei termini di custodia applicabili ai soggetti dallo stesso indagati e, quindi, evitare di determinarne l’illegittimo (eventuale) superamento.

La redazione giuridica

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