Test positivo al Diabete Research Institute (DRI) per il trapianto di cellule che producono insulina, una tecnica sperimentale per la cura del diabete giovanile. Il progetto è stato svolto in collaborazione con ricercatori dell’ospedale Niguarda, del S. Raffaele di Milano e dell’ISMETT di Palermo. Il risultato è molto importante perché rappresenta il primo passo per lo sviluppo del BioHub, un “mini organo” bioingegnerizzato che imita il pancreas nativo per ripristinare la naturale produzione di insulina nei pazienti con diabete di tipo 1. Tale tipo di diabete, conosciuto anche come “diabete giovanile”, colpisce, secondo le ultime statistiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 3% della popolazione mondiale. A differenza del diabete di tipo 2, di gran lunga più diffuso e associato a scorretti stili di vita, quello giovanile appartiene alla categorie delle malattie autoimmuni. Le persone che ne soffrono subiscono la progressiva distruzione, ad opera del proprio sistema immunitario, delle cellule del pancreas che producono l’insulina. Ecco perché i malati sono costretti, per tutta la vita, a iniezioni di questo ormone per abbassare i livelli di glucosio nel sangue.
Sono anni che l’Istituto di Miami sperimenta questa nuova tecnica che andrebbe a sostituire quella già in uso da circa dieci anni, un trapianto di isole pancreatiche che nel fegato. In questa sede il contatto delle isole con il sangue attiva una reazione infiammatoria che le danneggia. Ecco perché i ricercatori di Miami hanno pensato di sviluppare una tecnica alternativa di trapianto.
«Questo è il primo caso in cui le isole sono state trapiantate con tecniche di ingegneria tissutale all’interno di una impalcatura biologica e riassorbibile sulla superficie dell’omento, tessuto che riveste gli organi addominali. Il sito è accessibile con la chirurgia minimamente invasiva, ha lo stesso apporto di sangue e le stesse caratteristiche di drenaggio del pancreas e permette di minimizzare la reazione infiammatoria e quindi il danno alle isole trapiantate”, spiega Camillo Ricordi, Professore di Chirurgia e Direttore del DRI.
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