Il contribuente era stato condannato per aver omesso di presentare la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione IVA

In quantità di legale rappresentante di una Srl, al fine di evadere le imposte, aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi e la dichiarazione IVA relativamente all’anno di imposta 2011, così evadendo l’Ires in misura pari a 197.317,00 euro e l’Iva in misura pari a 184.868,00 euro. L’uomo era stato condannato in primo grado a un anno di reclusione oltre alle pena accessorie.

La Corte territoriale, nel riformare parzialmente la sentenza impugnata, confermata la penale responsabilità del prevenuto ha, comunque, ritenuto di ridurre la pena irrogata, considerato il comportamento processuale dell’imputato, limitandola a 10 mesi di reclusione.

Nel ricorrere per cassazione, il ricorrente eccepiva che i giudici del merito avevano errato nel ritenere superata la soglia di punibilità relativa ai reati contestati non avendo considerato che alcune delle fatture emesse dalla società da lui amministrata erano state pagate attraverso la compensazione con crediti relativi ad annate pregresse che i debitori vantavano verso la società.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 4693/2020, ha ritenuto il ricorso inammissibile stante la manifesta infondatezza del motivo di impugnazione su cui era basato.

Per i Giudici Ermellini, l’assunto del ricorrente era del tutto fallace. Nella sentenza impugnata, infatti, lungi dal ritenere che le fatture  in questione non fossero rappresentative di operazioni imponibili relative all’anno di imposta considerato, la Corte di appello aveva semplicemente osservato che, ove le stesse fatture fossero state emesse a compensazione di debiti maturati in esercizi contabili precedenti, gli importi relativi a questi ultimi dovevano avere concorso, quali elementi negativi, alla formazione del reddito relativo a tali precedenti esercizi. Invece, nel caso in esame, costituendo, a seguito dell’abbattimento di eventuali pregresse posizioni debitorie, elementi positivi di reddito, dovevano essere inserite nelle dichiarazioni fiscali relative all’anno di emissione.

Del resto, la stessa giurisprudenza tributaria di legittimità è orientata in tal senso laddove precisa che in materia di Iva, le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, con la conseguenza che, nel caso in cui i rapporti sinallagmatici siano stati definiti fra le parti mediante compensazione, la relativa fattura deve essere emessa alla data in cui, per effetto dell’accordo raggiunto dalle parti, si verifica l’estinzione del credito.

Poiché nella fattispecie non vi era motivo di dubitare che i rapporti creditizi esistenti fra la società del ricorrente e le tre società destinatarie delle tre fatture fossero stati estinti, per effetto delle intervenuta compensazione – attraverso la quale era stata cancellata una posizione debitoria della Srl, con conseguente arricchimento patrimoniale della medesima – correttamente la Corte di merito “aveva computato nell’anno del reddito imponibile conseguito dalla società in questione gli importi delle tre ricordate fatture, riguardando queste le compensazioni in discorso e sanzionando penalmente l’omessa presentazione da parte del prevenuto, nella ricordata qualità, della dichiarazione dei redditi essendo risultata, stante l’importo delle tre fatture in questione, superata ampiamente la soglia di punibilità legislativamente prevista per il reato in contestazione”.

La redazione giuridica

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